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Non è fake ciò che è fake, ma è fake ciò che (non) piace

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I media vicini alle forze politiche tradizionali continuano imperterriti la loro crociata contro le fake news. Bel coraggio, vista la loro integrità deontologica.

Nella società fondata sull’inglese da aeroporto, spesso gli anglicismi assolvono la funzione di rinverdire vecchi fenomeni, o di restituire slancio ed attualità a meccanismi datati quanto la notte dei tempi. E’ il caso, ad esempio, degli smartphone e dei selfie. C’è da giurare che i figli del 2000 ci guarderebbero come dei prodotti del Tardo Cretaceo se ci sentissero parlare di videofonini o autoscatti. E lo stesso discorso vale per un argomento molto à la page negli ambienti politici e mediatici degli ultimi mesi: le fake news.

Le bufale 2.0

Le buone vecchie bufale sono sempre esistite e sono sempre state trattate alla stregua di un fenomeno di nicchia. Spesso trascurate e spesso derubricate ad ininfluenti panzane partorite da blog paracospirazionisti. Eppure, nell’ultimo anno e mezzo, l’attenzione delle istituzioni e di tutti i quotidiani più autorevoli si è impennata in maniera apparentemente inspiegabile, a tal punto da dover coniare un nuovo termine più cool ed esotico (bufale suonava terribilmente provinciale) per potenziarne la cassa di risonanza.

Cosa può aver mai prodotto questo repentino cambio di atteggiamento?

Il 2016 dell’establishment e il soccorso dei media

E’ superfluo ricordare come il 2016 sia stato un vero e proprio annus horribilis per le forze politiche tradizionali, le quali laddove non abbiano subito sonore sconfitte, hanno comunque visto calare vertiginosamente i loro indici di gradimento, assieme ad una contemporanea crescita dei partiti “di protesta”.
Si è trattato di un fenomeno pressoché globale, di fronte al quale l’establishment ha dovuto ingegnarsi, sviluppare gli anticorpi e trovare le giuste contromisure per fronteggiare i minacciosi venti del cambiamento. E per farlo non c’era modo migliore che affidarsi ai loro fedelissimi cani da guardia: i media.
Ecco che è fiorito un foltissimo sottobosco dell’informazione, impegnato nello smascheramento degli strumenti che le forze di nuovo corso starebbero utilizzando (a qualsiasi latitudine) per sottrarre consensi e voti alle formazioni depositarie degli unici valori sani e moralmente accettabili in una democrazia occidentale: i partiti liberal.
Solo così abbiamo scoperto i populismi che strumentalizzano irresponsabilmente il malcontento, gli analfabeti funzionali, il voto dei vecchi contadini che (dal basso della sua minor nobiltà) ruba il futuro ai giovani istruiti, gli hacker russi che influenzano anche le riunioni di condominio e giustappunto, le fake news.

Le bufale dei cacciatori di fake news

L’evoluzione delle vecchie bufale sarebbe una pericolosissima arma utilizzata esclusivamente da siti, blog e giornali di controinformazione per fare in realtà disinformazione. Il mondo dei media sarebbe diviso in una dicotomia manichea, composta da propalatori di menzogne da una parte e pedissequi divulgatori della verità dall’altra.
Sarà per questo che non si è parlato di fake news quando i nostri quotidiani generalisti più in voga hanno condannato, senza possibilità di appello, l’Iraq di Saddam per possesso di quelle armi chimiche che nessuno è mai stato in grado di rinvenire, neppure a conflitto terminato. E non si è parlato di fake news nemmeno quando le stesse fonti blateravano circa l’introduzione di leggi restrittive nei confronti degli omosessuali (in realtà un inasprimento generale della sanzione per gli atti osceni in luogo pubblico) o della depenalizzazione del reato di violenza domestica (in realtà un doveroso ammorbidimento della contraddittoria disciplina, che prevedeva la pena detentiva per i genitori ed una semplice sanzione pecuniaria per gli estranei) nella Russia di Putin, il Dart Fener contemporaneo.
Andando a memoria, i grandi media mainstream non si sono fatti problemi neanche a descrivere l’ “Osservatorio siriano per i diritti umani” come una canonica organizzazione di reporter, nonostante si trattasse di un singolo siriano (Rami Raman, al secolo Osama Suleiman), residente a Londra da 17 anni a spese del governo di Sua Maestà. Un dettaglio che avrebbe probabilmente rischiato di ridimensionare l’autorevolezza di una delle principali fonti di informazioni antigovernative dalla quale attingono i difensori della verità.
Insomma, l’elenco delle bufale nell’armadio dei giornalisti virtuosi è chilometrico. E’ una via impervia, tortuosa e piena di paradossi, che porta dritta dritta all’ultima colossale fandonia sulla bandiera neonazista (in realtà un vessillo di guerra della marina guglielmina fino al 1918) appesa in una caserma dei Carabinieri.

Le menzogne no, ma la propaganda sì

Volendo tirare le somme però, un quesito sorge spontaneo: siamo sicuri che le bufale, indipendentemente dalla testata che le divulga, rappresentino la scorrettezza più subdola del circo mediatico?
Come abbiamo più volte sottolineato, il giornalismo contemporaneo si è definitivamente spogliato del ruolo di notiziario, indossando esplicitamente e senza pudore alcuno quello di strumento di propaganda. Così, anche se non siamo in presenza di notizie menzognere, assistiamo ad atteggiamenti deontologicamente ripugnanti che ormai, passano inosservati come retaggio della libertà d’informazione.

In questo modo, Report può asserire che le nazioni debbano mirare alla nascita degli Stati Uniti d’Europa per risollevare le proprie sorti, la Annunziata può fare sfoggio delle sue abilità precognitive che le consentono di capire quando ospiti (a lei invisi) stiano mentendo sulle proprie convinzioni politiche, mentre Mentana può permettersi di giudicare quale dottrina sia stata cestinata dalla storia (e non possa di conseguenza essere riesumata), o definire avvelenatore di pozzi chiunque sostenga l’esistenza, ormai ampiamente conclamata, dei contatti tra scafisti e ONG. Giusto per non citare gli ultimi otto anni, nei quali Repubblica ha reso partecipi i suoi lettori sui segreti dell’orto di Michelle Obama, palesando un culto della personalità da far invidia ai fasti dell’Istituto Luce.

Omnia munda mundis

Fra Cristoforo, nell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi, pronuncia il celebre motto “omnia munda mundis”, con il quale Manzoni ci ricorda di diffidare dei sedicenti puri che ostentano con eccessivo fervore la propria limpidezza morale. Aforisma che forse, potrebbe essere rievocato per mettere un freno all’ipocrisia galoppante che si cela dietro a questa crociata contro le ex bufale. Nonché nuove fake news.

 

di  Filippo Klement

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