Dopo quasi una settimana nella quale la mente dei telespettatori è stata intorpidita per bene da un evento mai come quest’anno così squallido, insignificante e, possiamo dirlo a voce alta, politicamente scorretto nel senso più tradizionale del termine, siamo finalmente liberi. Il nostro è un vero e proprio grido di gioia perché essere stati costretti a passare cinque giorni di totale apnea del cervello sotto il regime dittatoriale ben orchestrato dalla sinistra perdente non è stato facile e ci ha lasciato un senso di nausea e di noia profondi.
Ormai è chiaro anche agli ipovedenti, ma che ci sentono ancora molto bene, quanto questa storica kermesse della musica leggera italiana sia stata usata alla vigilia delle elezioni amministrative in Lombardia e nel Lazio, per dare una mano a chi le elezioni le aveva perse subendo una debacle storica.
Quello a cui abbiamo assistito dal martedì scorso fino a sabato mattina all’alba è stata una vera e propria campagna elettorale sotto mentite spoglie, una campagna che ha fatto di tutto per cavalcare quegli pseudo valori tanto cari a chi valori non ne ha e che gli italiani, quelli veri che non sono disposti a subire il lavaggio del proprio cervello, continuano a rifiutare. Stiamo parlando di tutto il ciarpame demagogico che ha a che fare con il relativismo storico che ha ancora le sue radici profonde nel mondo pseudo intellettuale del nostro Paese. Fin dall’inizio abbiamo visto cosa ci sarebbe aspettato con il proclama dal palco dei cosiddetti valori su cui sarebbe fondata la nostra nazione che vede come abominio la dittatura e il ricorso alle armi, proprio gli stessi strumenti su cui la nostra democrazia da operetta sta basando da anni la sua supremazia totalitaria sperando di continuare a manipolare le coscienze di chi è considerato ancora suddito.
Ovviamente non finisce qui perché il buongiorno si vede dal mattino: sulla scia dell’ormai vetusto relativismo filosofico in cui non esistono più valori se non quelli che ogni società può inventarsi perché fa comodo così, il Festival è andato avanti propinandoci il “valore” del non saper cantare perché anche questo secondo lor signori è da difendere ad ogni costo. Ecco quindi salire sul palco cantanti, anzi ragazzotti e ragazzotte che andrebbero bene in qualche dopo scuola magari ambientato in uno dei centri sociali di fancazzisti di cui pullula il nostro Paese. Se un’ode c’è stata, lo abbiamo visto, questa era indirizzata al cosiddetto valore sacrosanto dell’apparire tatuati, “piercingati” e preferibilmente portatori insani di una sessualità ambigua e non ben definita ma da imporre a tutti i costi, volenti o nolenti noi. Su quest’ultimo “valore” la sinistra sta portando avanti ormai da anni la sua battaglia per difendere l’indifendibile e, quel che è grave, sta usando a man bassa tutti gli strumenti di propaganda che i media, da questa controllati o compiacenti, gli offrono.
E’ inutile quindi stupirsi o indignarsi se per esempio un certo o una certa, fate voi, “Rosa Chemical“, individuo dalle caratteristiche sessuali non ben definite e dalle capacità artistiche poco più che amatoriali, si è esibito baciando, lingua in bocca il cantante Fedez, noto portavoce senza né arte né parte della sinistra strombazzante e del nulla ideologico che va spacciando con toni evangelici. Molto meno evangelici sono le bestemmie da scaricatore di porto che lo stesso bullo di quartiere scrive sui social nei suoi commenti da alunno delle scuole elementari.
I due “mezzi soprani” del sesso equivoco poi si sono esibiti in platea mimando una sodomizzazione reciproca sulla quale noi utenti avremmo dovuto usar obbedir tacendo. Siamo ormai al “baccanale” esibito in diretta e, quel che è peggio, spacciato per valore su cui basare le fondamenta di uno stato, ma sarebbe meglio dire in questo caso di un “bordello” a cielo aperto. E che dire della signora Chiara Ferragni pronta ad esibire tutto quello che c’era da esibire oltre a portare, come “monito”, non si sa mai, orecchini con il simbolo del Covid. giusto per non farci dimenticare come in questi ultimi due anni, siamo rimasti vittima di un regime dittatoriale con cui qualcuno ha voluto schiacciare il popolo italiano.
Tutto questo è stato il Festival della Canzone Italiana, con qualche rarissima eccezione legata ai soliti artisti professionisti nel tentativo di potersi un giorno difendere e dire che questi comunque c’erano. Alla fine, come detto, è rimasta solo la nausea per uno spettacolo che di dignitoso aveva più poco. Personalmente ho ammirato il buon Albano che, anche se in modo teatrale e inappropriato, ha semplicemente voluto far vedere quale dovrebbe essere l’immagine di un uomo con la U maiuscola. E non ci riferiamo tanto alle patetiche flessioni che ha fatto sul palco, ma al semplice fatto di presentarsi senza tanti fronzoli, paillettes, piercing, tatuaggi e analoghe fesserie da cialtroni che farebbero riscrivere, in chiave diversa ma ugualmente veritiera, il libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”.