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Draghi e Lagarde parlano di MMT: ma la loro non è una conversione

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Mario Draghi e Christine Lagarde, figure di spicco della finanza internazionale, tra la primavera e l’autunno del 2019 hanno ambedue preso in considerazione, nelle loro dichiarazioni pubbliche, la MMT.

Ovverosia, niente di meno che la teoria economica più eterodossa allo stato attuale delle cose, sulla cresta dell’onda presso l’opinione pubblica internazionale. In Europa, il dialogo, in merito alla MMT, pare atrofizzato: almeno, sui principali canali di informazione e di comunicazione, a dispetto di un variegato sottobosco culturale che la conosce e diffonde.

Invece, negli Stati Uniti essa sta destando un notevole scalpore: nei confronti e nei dibattiti pubblici, gli economisti ne parlano con continuità. Al punto tale che, attraverso l’anchor woman della MMT, Stephanie Kelton, essa è giunta ad essere parte integrante del programma politico di Bernie Sanders, Senatore Democratico alla ricerca della guida del Partito per candidarsi a Presidente nel 2020.

La Modern Money Theory [o Modern Monetary Theory] si propone di enucleare i meccanismi, i gangli ed i funzionamenti dell’attuale sistema monetario,

al fine di proporre ricette economiche funzionali a tutti i circuiti economici dei vari Paesi. Usufruendo della moneta come di uno straordinario strumento di utilità pubblica. Nata con Warren Mosler e condotta innanzi dagli stessi Kelton e Mosler, da Larry Randall Wray, Bill Mitchell, Pavlina Tcherneva ed altri, essa si riconduce invero ad intuizioni teorico-fattuali di grandi economisti e pensatori del recente passato: Karl Marx, John Maynard Keynes, Abba Lerner e così via.

La MMT asserisce che, per uno Stato sovrano, non esistano problemi di finanziamento dei propri progetti politici e sociali. Infatti, il debito pubblico è l’attuale sistema di creazione della moneta, la quale è fiat (creata dal nulla, senza riserve materiali dietro e priva di valore intrinseco). Se uno Stato lo coordina e disciplina attraverso la propria Banca Centrale, non sarà mai insolvente, ed anzi sarà sempre capace di gestire questa partita di giro per investire quanto desidera a favore dei propri cittadini.

Ora, ritornando a Draghi e Lagarde:

ambedue, alla guida rispettivamente della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, hanno attuato misure economiche di matrice e fattezza diametralmente opposte a quelle propugnate dalla MMT. Quindi, non deficit-spending, né controllo del mercato azionario, né investimenti pubblici ed intervento pubblico in economia, né indirizzamento della finanza verso obiettivi popolari.

L’oramai ex governatore italiano della BCE non ha raggiunto l’unico obiettivo che si era prefissato, ovverosia l’inflazione attorno al 2% (la media si è aggirata attorno allo 0,3%). Il suo Quantitative Easing ha pompato denaro sonante soltanto all’interno del mondo finanziario, trascurando completamente l’economia reale, strozzata in tutti i Paesi europei da quelle politiche deflattive e di deprezzamento del lavoro necessarie per mantenere competitività sul mercato e per non sforare i parametri di bilancio dell’architettura europea.





L’oramai ex numero uno francese del FMI, e presidente BCE appena entrata in carica, in tutti i Paesi nei quali ha portato l’apporto del suo Fondo ha peggiorato la situazione economica dei suddetti. Ha sempre suggerito, ed indotto a seguire, politiche di austerità e privatizzazioni progressive e selvagge, in connubio con lo smantellamento della presenza dello Stato in economia, per la riduzione del debito pubblico. Con il risultato non soltanto di averlo fatto aumentare, ma al contempo di aver messo a dura prova le varie popolazioni, che hanno visto la forbice sociale allargarsi sempre di più. Oltre a diritti sociali e lavorativi negati ogni giorno di più.

Dunque, due personaggi che, durante la loro carriera,

hanno perseguito con metodicità e senza remore delle politiche economiche di stampo irrimediabilmente liberista. Laddove, invece, la MMT avrebbe spinto per una riscoperta – attualizzata – dei principi del keynesismo: non a caso, il default argentino del 2003, causato dalle ricette FMI, fu risanato da ricette MMT.

Dunque, è possibile credere alla conversione di Draghi e Lagarde? Si tratta di una folgorazione sulla via di Damasco? Per comprenderlo, sarebbe prima quanto mai interessante ed importante leggere direttamente quegli articoli – di portata internazionale – che li hanno accostati a quella stessa eterodossia economica che non hanno mai scelto di seguire.

  1. Secondo Lagarde, la MMT non è la panacea di tutti i mali ma può aiutare a combattere la deflazione

Christine Lagarde, [ex] capo del Fondo Monetario Internazionale, ha affermato che la MMT, una dottrina economica di stampo progressivo che negli Stati Uniti sta attirando fortemente l’attenzione su di sé, ha poco da offrire all’economia mondiale in questo momento. Tuttavia, ha sostenuto anche che essa potrebbe rivelarsi utile in situazioni di crisi, quando i prezzi sono in calo.

Mario Draghi e Christine Lagarde: presente e futuro della BCE

«Noi non pensiamo che la MMT, allo stato attuale delle cose, sia la panacea di tutti i mali», ha sottolineato Lagarde giovedì 11 aprile 2019 alla riunione di primavera del FMI a Washington DC. «Noi non pensiamo che, sic stantibus rebus, ci sia un Paese che si trovi in una posizione tale per cui questa teoria possa fornire effettivamente un buon valore in modo sostenibile».

La Modern Money [Monetary] Theory è stata fondata negli anni Novanta ed ha languito nell’oscurità per gran parte della sua vita, ma ora sta suscitando il dibattito tanto degli economisti quanto dei politici. In esso, si sottolinea come la teoria sia rappresentata dall’idea per cui i deficit del governo non siano così pericolosi come usualmente si pensa: e ciò per nazioni sovrane che prendono in prestito i soldi nella propria valuta, e che quindi non possono andare in rovina, non possono fare default.

La dottrina ha vinto dei convertiti nello spettro dei politici progressisti statunitensi, ivi inclusa la rappresentante Democratica al Congresso Alexandria Ocasio-Cortez,

che sta cercando dei modi affinché vengano finanziati programmi come il Medicare for All ed il Green New Deal. La MMT ha risuonato in modo più ampio e potente, a causa delle preoccupazioni per il rallentamento della crescita economica ed a causa della mancanza di munizioni tradizionali, da parte delle Banche Centrali, per contrastare la recessione.

«È allettante, quando si guarda la sua modellizzazione matematica, e quest’ultima sembra reggersi in piedi», ha detto Lagarde. «Se un Paese si trova nella trappola della liquidità», ha poi continuato, «se c’è deflazione, allora in quelle circostanze potrebbe funzionare per un breve periodo di tempo».

La candidata dem Alexandria Ocasio-Cortez

Lagarde è soltanto l’ultima figura di alto profilo che si è avventurata in questo dibattito. Attorno ai primi di aprile, il capo economista del FMI, Gita Gopinath, ha attaccato la teoria perché “offrirebbe pasti gratuiti”. Fra i detrattori, si annoverano anche il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, l’amministratore delegato di BlackRock Larry Fink, ed il precedente presidente della FED newyorkese Bill Dudley.

[Articolo originale di Andrew Mayeda & Katia Dmitrieva su Bloomberg]
  1. Draghi sostiene che la BCE dovrebbe esaminare nuove idee, come la MMT

Il presidente uscente della BCE, Mario Draghi, ha affermato che il Consiglio Direttivo dovrebbe essere aperto a nuove idee come la Modern Money [Monetary] Theory, rivelando al contempo che dovrebbero essere più vicini alla politica fiscale e che dovrebbero essere diretti dai governi.

Draghi stava rispondendo ad una domanda dei legislatori europei sull’operazione di Helicopter Money, e sui modi migliori per incanalare i fondi verso l’economia reale, in modo tale da aiutare a combattere la disuguaglianza. Egli ha citato la MMT ed un recente paper dell’ex vicepresidente della Federal Reserve, Stanley Fischer – il consigliere del dottorato di Draghi, peraltro -, secondo il quale le Banche Centrali dovrebbero immettere i soldi «direttamente nelle mani dei distributori del settore pubblico e privato».

«Queste sono oggettivamente idee piuttosto nuove»,

ha detto Draghi. «Esse non sono ancora stati discussi dal Consiglio Direttivo. Dovremmo esaminarle, anche se non sono ancora state testate». Ha poi aggiunto che tali azioni si basano su decisioni in merito alla distribuzione, e che non sono qualcosa per la politica monetaria.

«Quando li guardi da vicino, ti rendi conto dell’importanza del compito di distribuire denaro ad un soggetto o ad un altro, il quale è in genere un compito fiscale», ha detto. «È una decisione del governo, non della Banca Centrale. È la governance politica di queste idee che deve essere affrontata».

[Articolo originale di Fergal O’Brien su Bloomberg]
  1. Note a margine

Come si è potuto leggere sopra, per quanto Draghi e Lagarde abbiano citato la MMT, sembrano non averne compreso né le potenzialità rivoluzionarie – all’interno dell’attuale sistema socio-economico basato su liberismo spinto, austerità sempiterna e deflazione salariale a tutto vantaggio dei profitti -, né le possibili metodologie operative.

Lagarde ha sostenuto che nessun Paese avrebbe le condizioni per portare innanzi un progetto economico MMT a lungo termine, e che anzi questi ultimi potrebbero funzionare soltanto entro brevi lassi di tempo. Eppure, moltissimi Stati si trovano oggi in deflazione, ovverosia in una condizione di scarsità monetaria nel circuito economico: immetterne attraverso la spesa pubblica avrebbe un effetto moltiplicativo di grande positività, tanto sui salari quando sui consumi, e ne gioverebbero tutti. Ma questo implicherebbe spesa a deficit, cioè debito pubblico: quanto il FMI ha sempre combattuto e demonizzato.

Draghi, rispondendo a quesiti sull’Helicopter Money,

ha affermato in ogni caso la superiorità della politica fiscale sulla politica monetaria nella ridistribuzione della ricchezza, sottolineando al contempo il ruolo della politica rispetto alla Banca Centrale che lui ha diretto. Tuttavia, in questa disamina, ha dimenticato aspetti imprescindibili: le politiche fiscale, monetaria e di cambio dovrebbero andare di pari passo per funzionare con efficienza ed equità, e questo in Euro-zona non è possibile a causa dei trattati, che hanno tolto la terza e subordinato prima e seconda ad obiettivi meramente economicisti.

Senza considerare che la dipendenza assoluta degli Stati e delle loro finanze dalla BCE – il “vincolo esterno – impedisce alla politica di agire in qualità di tale: poiché, semplicemente, essa non controlla i rubinetti del denaro. Anzi, è costretta a rispettare vincoli privi di fondamento scientifico (tra cui il 3% di deficit/PIL) ed a bloccare le proprie iniziative per mancanza di fondi, i quali possono essere trovati soltanto se sottratti ad altri settori, o prelevati con la tassazione ai cittadini. Ma uno Stato sovrano che agisca come tale, potrebbe creare illimitatamente dal nulla tutta la moneta di cui ha bisogno, senza limiti finanziari: cosa che la BCE, ha ammesso Draghi, potrebbe fare (ma non fa).

In conclusione, è assai difficile immaginare che entrambi stiano seriamente meditando

di intraprendere un percorso tanto azzardato per il loro modus cogitandi: senza ombra di dubbio, la gestione di Lagarde della BCE sarà più politica di quella di Draghi.

Tuttavia, la loro non è una folgorazione, od una conversione, bensì un tentativo di sopravvivenza, niente affatto dissimulato. In un momento storico dove tutte le storture e fallacie del modello liberista – che loro hanno difeso indefessamente ed a spada tratta – stanno venendo a galla con prepotenza, provare a salvarsi in calcio d’angolo attraverso la considerazione dell’eterodossia MMT è un atto perspicace. Ma la sincerità dei fini – aiutare i grandi sconfitti del succitato modello – è, come minimo, sospetta e poco credibile. Del resto, come aveva brillantemente individuato il poeta Ezra Pound – grande avversario dell’usura -: «Non puoi fare una buona economia con una cattiva etica».





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Di Lorenzo Franzoni

Nato nel 1994 a Castiglione delle Stiviere, mantovano di origine e trentino di adozione, si è laureato dapprima in Filosofia e poi in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Trento. Nella sua tesi ha trattato dei rapporti italo-libici e delle azioni internazionali di Gheddafi durante il primo decennio al potere del Rais di Sirte, visti e narrati dai quotidiani italiani. La passione per il giornalismo si è fortificata in questo contesto: ha un'inclinazione per le tematiche di politica interna ed estera, per le questioni culturali in generale e per la macroeconomia. Oltre che con Elzeviro.eu, collabora con il progetto editoriale Oltre la Linea dal 2018 e con InsideOver - progetto de il Giornale - dal 2019.

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