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Il paradosso di Predappio

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Il 30 ottobre scorso a Predappio, città natale di Benito Mussolini, si è tenuta una manifestazione per celebrare l’anniversario della Marcia su Roma.

L’evento, a cui hanno partecipato circa tremila cosiddetti “nostalgici”, era stato organizzato dall’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, e voleva essere una risposta al corteo tenuto il giorno prima dall’Associazione Nazionale Partigiani sempre nello stesso comune della provincia di Forlì. Entrambe le manifestazioni, va detto, si sono svolte in modo pacifico senza alcun problema per l’ordine pubblico.

In quella degli Arditi, tra l’altro, oltre agli stessi organizzatori della manifestazione, c’erano migliaia di innocui cittadini  di svariate età, compresi molti bambini e ragazzini al seguito dei loro genitori. Nulla di anormale è accaduto e tutto si è svolto in un clima di assoluto ordine, disciplina e senso civico.

D’altronde la cittadina di Predappio è abituata da decenni ad avere manifestazioni di questo genere tanto da sviluppare tutto un florido e legale commercio relativo a gadget, vestiari e  libri che si richiamano direttamente tanto al Nazional Socialismo quanto al Fascismo, ovviamente sempre in una chiave di adeguata rilettura storica e sociale.

La conseguenza, a nostro giudizio paradossale, della pacifica manifestazione degli Arditi è stata niente meno che l’iscrizione nel registro degli indagati di ben otto partecipanti, rei di aver effettuato il saluto romano e di aver ostentato simboli del Fascismo.

Ora a questo riguardo ci sarebbe da chiedersi come mai cotanto zelo non sia stato messo da parte degli inquirenti per visionare anche i filmati che avevano immortalato la manifestazione dell’Anpi, non certo parca nell’offendere la memoria di quegli Italiani che, in perfetta buona fede e seguendo i loro ideali, ovviamente diversi, avevano aderito ai dettami del Fascismo.

Ovviamente nella manifestazione del giorno prima nessuno si è peritato di andare a vedere se i manifestanti avessero fatto saluti con il pugno chiuso o ostentato simboli, questa volta tanto cari al Comunismo. Insomma il solito “due pesi e due misure”.

Il fatto, già assurdo e illegittimo, è che nei confronti del Comunismo e dei partiti che a questo si sono rifatti ideologicamente, in Italia non è mai stata emanata alcuna legge repressiva così come è stata  fatta a suo tempo nei confronti del Fascismo.

Questo è potuto succedere per la perversa e grottesca legge manichea che vede nei vincitori i depositari della verità assoluta e della morale che da questa ne discende mentre i vinti sono considerati come la rappresentazione vivente del male più assoluto e oscuro. Ma tutto questo da cosa nasce? Semplicemente nasce da una legislazione, sballata, demagogica e faziosa.

Innanzitutto bisogna risalire all’art 48 della Costituzione che vieta espressamente la riorganizzazione del Partito Fascista andando contro tutte le regole della libertà di organizzazione e di espressione di cui la nostra stessa Costituzione paradossalmente si ammanta.

In secondo luogo bisogna risalire all’art. 5 della Legge Scelba che vieta a chiunque partecipi a pubbliche riunioni di compiere manifestazioni usuali del disciolto Partito Fascista.

Ma non basta perché esiste anche una legge, la Legge Mancino, che all’art. 2 punisce chiunque compia in pubbliche riunioni  manifestazioni  od ostenti emblemi o simboli  propri o usuali di associazioni  aventi tra i loro scopi  l’incitamento alla discriminazione e alla violenza  per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi.

Anche quest’ultima, va detto, è una norma che non fa che contraddire proprio quegli stessi principi a cui intende ispirarsi. Ora a questo riguardo abbiamo però anche una precisa sentenza della Cassazione che nell’occasione ha dato sfoggio di una certa dose di buon senso e ragionevolezza.

La Corte, infatti, annullando così la condanna in appello per un gruppo di persone che durante una commemorazione avevano fatto il saluto romano, ha stabilito appunto che fare il saluto romano in un contesto commemorativo non costituisce reato.

Ora viene da chiedersi, come mai in un paese come il nostro, dove siamo sopraffatti dal dilagare della criminalità “di importazione” e dove i cittadini devono spesso scontrarsi con gli effetti collaterali della mancata integrazione, gli inquirenti debbano investire  intere giornate a spese dei contribuenti, per scovare presunti comportamenti illegittimi da parte di padri di famiglia, nonni e signore con tanto di figli e nipoti al seguito.

Tutto questo ci pare altamente paradossale. Il buon senso dovrebbe essere di casa in chi giustamente è chiamato a far rispettare la legge in Italia. Buon senso e tolleranza che vengono invece ampiamente usati quando si tratta di “redarguire benignamente” chi si impossessa delle case altrui o chi trasforma le nostre città in zone di spaccio a cielo aperto o in zone dove il crimine imperversa senza alcuna limitazione.

A noi comunque viene il dubbio che dietro l’agire delle forze inquirenti ci possa essere una precisa volontà politica che, nonostante la recente debacle subita alle elezioni politiche, continua, per effetto di una certa inerzia, a pensare di dettare legge come faceva prima.

Ma forse, a questo punto, i cittadini italiani avrebbero diritto ad avere un po’ di chiarezza e a ricevere qualche spiegazione a riguardo: ricordiamo come siano proprio i dettami della nostra Costituzione a stabilire quanto il Popolo Italiano dovrebbe, in questi casi, essere sovrano.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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