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MMT: il denaro è un poderoso strumento di utilità pubblica

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La Teoria Monetaria Moderna [o Teoria della Moneta Moderna], resa popolare negli ultimi mesi dalla stella emergente del Partito Democratico americano, Alexandria Ocasio-Cortez, attualmente è stata trasformata in una delle tesi economiche più discusse.

Ben poche teorie di tal fatta hanno suscitato uno sciame così ampio di critiche, provenienti tanto da destra quanto da sinistra, al punto tale da essere culminate nella proposta di quattro senatori a stelle e strisce di denunciarla per vie ufficiali: senza dubbio, un evento che non aveva precedenti nella storia della disciplina economica.

L’approccio della MMT

Nonostante la complessità del dibattito intorno alla MMT, e nonostante la presenza ed esistenza di diverse scuole di pensiero, si possono distinguere con nettezza una serie di postulati fondamentali, condivisi dalla maggior parte dei suoi sostenitori. In sintesi, l’idea centrale consiste nella considerazione secondo la quale nel mondo di oggi, a seguito dell’abbandono del gold standard [e del gold exchange standard nel 1971 ad opera del presidente statunitense Richard Nixon, N.d.R.], uno Stato sovrano può emettere la propria valuta senza correre il rischio di ritrovarsi senza soldi.

Attraverso il controllo della zecca dello Stato [e della sua Banca Centrale nazionale], i governi possono stampare la quantità di denaro necessaria a finanziare la spesa pubblica [e relativi investimenti], ad iniettare risorse finanziarie nell’economia e poi a ritirarle sotto forma di tasse ed imposte.

Precedenti storici

Con ogni probabilità, il primigenio approccio ai postulati che stanno alla base della MMT è venuto in essere con la nascita storica della prima moneta fiat – ovverosia, una valuta priva di valore intrinseco -, emessa dalla colonia britannica del Massachusetts alla fine del XVII secolo: lo spiega lo storico Stephen Mihm. Nel 1689, questa piccola comunità dovette affrontare la necessità di pagare i propri soldati, rincasati da una spedizione avvenuta in territorio francese. Pur disponendo di molte attività “non liquide”, mancavano le monete metalliche, l’unico strumento di scambio in quell’epoca.

In risposta a quest’esigenza, un comitato di eminenti cittadini decise di creare dei sostituti del denaro, stampando nel corso dell’anno successivo un alto numero di fatture, ognuna delle quali equivaleva a 20 scellini d’argento. Nonostante la sorpresa inizialmente suscitata da quest’idea, la cartamoneta non ha perso il suo valore, ed ha continuato a circolare entro i limiti territoriali del Massachusetts. Tuttavia, simili iniziative in altre colonie non hanno avuto altrettanto successo, ed hanno perso di valore per effetto dell’inflazione.

Una risposta all’inflazione

Nell’opinione di Mihm, furono le politiche fiscali delle colonie a provocare l’inflazione delle loro valute fiat: «Una cosa è creare denaro per il tramite della spesa pubblica. Pur tuttavia, alcune colonie avevano dimenticato di aumentare le tasse nella misura sufficiente a mettere fuori dalla circolazione il denaro in eccesso», spiega.

Facendo una sintesi di questa storia coinvolgente il Massachusetts, l’esperto afferma che l’esperienza dell’allora colonia nord-americana potrebbe ripetersi al giorno d’oggi: «La MMT potrebbe funzionare, però il suo esito ed eventuale successo dipenderà in ultima istanza dalla volontà di distruggere il denaro attraverso le tasse, e non soltanto da quella di crearlo tramite la spesa [pubblica]».

Gli economisti Thomas Fazi e Bill Mitchell

due dei teorici più influenti del movimento della MMT, spiegano che tasse ed imposte sono una misura necessaria, avvertendo allo stesso tempo che esse non dovrebbero servire soltanto per coprire il bilancio, bensì a ridurre il potere d’acquisto del settore non governativo [cioè, quello privato], frenando così l’inflazione.

Inoltre, un sistema fiscale progressivo contribuirebbe a diminuire le disuguaglianza sociali, sostengono i due ricercatori. «Tutti quanti siamo a favore in merito al tassare i ricchi. Tuttavia, non per ottenere i loro soldi. Ma, piuttosto, per privarli del loro potere d’acquisto, il quale si traduce in un potere politico ed economico».

Inoltre, avvertono che, al giorno d’oggi, tecnicamente le tasse non servono a finanziare le spese. Infatti argomentano: «I governi che emettono la propria valuta […] dapprima spendono: la Banca Centrale semplicemente accredita i relativi conti bancari per facilitare i requisiti di spesa del Tesoro – e soltanto in seguito si riscuotono le tasse. Pertanto, le tasse non finanziano la spesa. L’emissione del debito non aumenta la capacità di spesa di un governo di questo genere».

Piena occupazione

Oltre alle misure fiscali, uno degli strumenti di stabilizzazione dei prezzi sarebbe la creazione di posti di lavoro garantiti all’interno del settore pubblico. L’idea, la quale è conosciuta negli Stati Uniti come “iniziativa federale di garanzia del lavoro“, non è nuova ed affonda le sue radici nelle proposte enunciate per la prima volta all’alba del XX secolo. Essa prevede che ogni cittadino possa aspirare ad una posizione nel settore governativo o senza scopo di lucro con uno stipendio fisso (generalmente stabilito attorno alla cifra di 1.500 dollari).

Da un lato, la piena occupazione fungerebbe da stabilizzatore di fronte all’aumento dell’inflazione, esattamente come sta facendo ora la disoccupazione: [disoccupazione] che, secondo la teoria economica ortodossa, dovrebbe oscillare fra il 4% ed il 6%, per non accelerare l’ascesa dei prezzi. «La ridistribuzione della forza lavoro dal settore dell’inflazione al settore dei prezzi fissi garantirebbe la stabilità dei prezzi ed eviterebbe una costosa disoccupazione di massa», affermano Fazi e Mitchell.

Dall’altro lato, l’iniziativa potrebbe ridurre in maniera significativa la disuguaglianza sociale, aggiungono altri difensori della MMT come Mark Paul, William Darity e Derrick Hamilton. «Il disegno universale [del sistema della piena occupazione] è essenziale per mettere fine alla povertà del lavoro ed alla disoccupazione involontaria; ciò contrasta con altre forme di intervento nel mercato del lavoro, come le leggi sul salario minimo, che non garantiscono l’accesso in primo luogo ad un impiego lavorativo-occupazionale».

E il deficit? E il debito?

Allo stato attuale delle cose, la maggior parte dei governi cerca di evitare di aumentare i propri deficit di bilancio per non aumentare il debito pubblico. Secondo i dettami della logica ortodossa, hanno ragione: altrimenti, dovrebbero spendere una parte crescente delle loro finanze per pagare i prestiti. Da parte sua, la MMT difende il fatto che si tratti di una confusione, derivante da un’analogia totalmente sbagliata tra uno Stato ed una famiglia. Mentre una famiglia necessita di ricevere del denaro per pagare i propri debiti, i governi sovrani, «tecnicamente parlando, possono creare la valuta dal nulla, se necessario», scrivono Fazi e Mitchell.

In questo modo, il debito pubblico

non sarebbe necessario, dal momento che lo Stato potrebbe coprire il deficit semplicemente stampando la somma necessaria. Se, per un qualunque motivo, avesse preso in prestito del denaro, o comunque lo avesse fatto in passato, potrebbe restituirlo con la valuta appena creata. Nel frattempo, i governi vendono titoli di Stato per mantenere alti i tassi di interesse per l’economia dei privati.

Nel momento in cui il governo spende, […] quest’operazione aggiunge più denaro ai conti bancari dei privati ed aumenta le quantità di “riserve” (cioè, denaro che la banca ha immagazzinato senza prestarlo) nel sistema bancario. Le riserve generano un tasso di interesse molto basso, riducendo così i tassi di interesse in generale. Se la Federal Reserve [la Banca Centrale americana, N.d.R.] li desidera più alti, venderà i buoni del Tesoro alle banche

si legge in un articolo del portale Vox, che cita un recente manuale di macroeconomia scritto da altri grandi motori intellettuali della MMT, ossia William Mitchell, Larry Randall Wray e Martin Watts.

Tuttavia, gli elevati tassi di interesse non sono né necessari né desiderabili dal punto di vista della MMT. «La nostra posizione preferita è un tasso naturale dello 0% e nessuna vendita di obbligazioni. Quindi, consentire che la politica fiscale apporti tutti gli aggiustamenti necessari. Questo “modus operandi” è molto più limpido», scrisse Mitchell nel suo blog ancora nel lontano 2009.

Che cosa significa fare politica?

In via del tutto generica, la MMT viene associata alla politica di sinistra. Negli Stati Uniti, laddove essa è emersa, è stata apertamente difesa da Ocasio-Cortez, nel frattempo che il senatore democratico Bernie Sanders, uno dei favoriti per la campagna presidenziale del 2020, ha ricevuto consigli sulla questione da Stephanie Kelton, una fra gli economisti più influenti che difendono questa teoria.

Senza ombra di dubbio, la MMT presenta uno strumento per superare gli ostacoli finanziari che impediscono di attuare ed implementare i grandi programmi di spesa proposti dai politici progressisti americani, che vanno dal “Medicare fo All” di Sanders al “Green New Deal” di Ocasio-Cortez.

Nell’euro-zona

che sta correndo il rischio di venire intrappolata in una spirale di “Nipponizzazione” [o “Giapponesizzazione”] – una combinazione di bassa crescita e di bassa inflazione – le idee della MMT sino ad ora non hanno ricevuto una vera e propria incarnazione politica. Nondimeno, il quotidiano più importante della Germania, il Süddeutsche Zeitung, si aspetta che la sua influenza aumenti in futuro, mentre il quotidiano spagnolo El Economista esprime delle preoccupazioni in merito al fatto che l’idea possa essere adottata dai cosiddetti “movimenti populisti”.

In tutto ciò, l’economista Milton Ezrati indica che «la MMT non è di sinistra come alcuni sembrano (e tendono a) pensare», segnalando il fatto che essa abbia molto in comune con l’economia monetaria convenzionale, ivi inclusa l’economia dell’offerta promossa negli Stati Uniti durante la presidenza di Ronald Reagan.

Un’accoglienza fredda

Per quanto riguarda la comunità accademica, la teoria viene criticata non soltanto dalle correnti dominanti, ma anche dagli economisti che si considerano – o sono – di sinistra. «La MMT ha torto nel credere che l’unica domanda da porsi sul deficit di bilancio sia se essa fornisca la giusta quantità di domanda aggregata; anche la finanziabilità è importante, pure in presenza di moneta fiat», afferma Paul Krugman, uno dei principali rappresentanti della teoria keynesiana – da cui deriva la MMT -, vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 2008.

Un altro importante keynesiano, Kenneth Rogoff* è andato oltre ed ha definito la proposta come una «moderna assurdità monetaria». Da parte sua, l’economista marxista Rolando Astarita afferma che la «ricetta miracolosa» della MMT, che consiste nel circuito Stato-denaro-Stato, non funziona perché non tiene conto della produzione.

Sostiene l’esperto: «Il problema con questo circuito è che trascura il fatto che l’iniezione del denaro implica l’acquisto dei beni, e per ciò stesso la produzione di quei beni», lasciando intatto il meccanismo di estrazione del plusvalore – e, quindi, dello sfruttamento capitalista. Di conseguenza, «c’è stato un calo del plusvalore del quale si appropria l’impresa, per il semplice motivo che essa è destinata a pagare un’imposta dello stesso importo della sovvenzione concessa. Non è possibile, in questo modo, aumentare in modo duraturo l’occupazione o la produzione di beni materiali».

* Kenneth Rogoff, invero, di keynesiano ha ben poco

Non incidentalmente, nel 2010 egli fu autore, assieme a Carmen Reinhart, di un paper dal titolo “Growth in a Time of Debt“, nel quale loro due sostenevano che un debito pubblico superante il 90% del proprio rapporto col PIL del rispettivo Paese fosse un ostacolo insormontabile alla crescita. Tale pubblicazione fu utilizzata da tutti i difensori e propugnatori dell’austerity nell’Unione Europea: le stesse misure che hanno messo in ginocchio la Grecia. Tuttavia, nel 2013, un giovane studente dell’Universitò di Amherst, Thomas Herndon, confutò tutta l’impalcatura dei due economisti di Harvard, che constava di gravi imprecisioni metodologiche e finanche di un palese errore di calcolo in un foglio Excel.

Articolo originale della Redazione su La Razón – El Diario Digital de los Chilenos – Traduzione a cura di Lorenzo Franzoni

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Di Lorenzo Franzoni

Nato nel 1994 a Castiglione delle Stiviere, mantovano di origine e trentino di adozione, si è laureato dapprima in Filosofia e poi in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Trento. Nella sua tesi ha trattato dei rapporti italo-libici e delle azioni internazionali di Gheddafi durante il primo decennio al potere del Rais di Sirte, visti e narrati dai quotidiani italiani. La passione per il giornalismo si è fortificata in questo contesto: ha un'inclinazione per le tematiche di politica interna ed estera, per le questioni culturali in generale e per la macroeconomia. Oltre che con Elzeviro.eu, collabora con il progetto editoriale Oltre la Linea dal 2018 e con InsideOver - progetto de il Giornale - dal 2019.

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