Non solo il fisiologico dissesto del welfare. A quanto pare, il sistema di liberalizzazioni non garantisce nemmeno una maggiore competitività internazionale delle imprese private.
Nell’attuale dibattito politico si possono individuare almeno due argomenti oramai assurti alla dimensione di invalicabili tabù: la spesa pubblica e la statalizzazione. Nient’altro che una fisiologica conseguenza della dottrina macroeconomica dominante nella nostra era (quella ordoliberista), la quale più in generale teme e demonizza, alla stregua di un’eresia, tutto ciò che ruota attorno al settore pubblico.
A tal proposito, è singolare riscontrare come il fascino delle manovre sociali finanziate con le casse dello stato ed un ripensamento nei confronti del verbo della privatizzazione forzata, siano alcune tra le principali rivolte culturali offerte da questo scorcio di contemporaneità; un periodo in cui la riscoperta del settore pubblico avviene (anche) da parte di un partito di destra, in aperto contrasto con le politiche liberiste attuate -e mai sconfessate- dal precedente esecutivo socialdemocratico. Stravaganze della storia.
Bollettino degli investimenti internazionali
Altro culto messianico irrefutabile è, senza dubbio, il rispetto dei vincoli comunitari. Su tutti quel rapporto tra deficit e PIL, che negli ultimi giorni ha rischiato di oscurare il dibattito calcistico perfino nei bar sport. Eppure un quesito sorge spontaneo: il dissesto del welfare e l’annientamento degli investimenti pubblici, in ragione dei rigorosi parametri europei, a cosa ha condotto?
Per ragioni legate al -sacrosanto- clamore mediatico, sarebbe troppo facile limitarsi a volgere lo sguardo verso la tragedia del ponte Morandi; la malagestione di Atlantia, i dissanguanti rincari nei pedaggi, oppure i risparmi sulla manutenzione, operati al fine di produrre utili a discapito della sicurezza degli utenti. No, decisamente troppo semplice. Proviamo a monitorare la bilancia degli investimenti italiani in giro per il mondo, nonché la salute delle aziende private al di fuori della gestione pubblica.
Ebbene il cambio di prospettiva, esattamente come quando in matematica si inverte l’ordine degli addendi, lascia il risultato invariato. Le principali operazioni internazionali portate a termine negli ultimi giorni, sono da attribuirsi ad Eni (accordo con l’azienda statale energetica libica e British Petroleum, per riattivare le esplorazioni petrolifere e contrastare l’avanzata di Total) e a Leonardo-Finmeccanica (in trattative avanzate con la Comac, per costruire di un aereo civile progettato dalla società cinese), in ossequio ad una prassi ormai consolidata sul mercato internazionale: una discreta vivacità delle imprese che hanno un soggetto pubblico come maggiore azionista, contrapposta ad una scarsa incisività di quelle private.
Bollettino della svendita interna
Si può dunque concludere che il modello di privatizzazioni forzate -imposto dalle miopi ricette liberiste fondate sulla base dell’aforisma “austero è virtuoso”- non abbia solo atrofizzato la spesa pubblica e reso inefficienti i servizi offerti in concessione, ma non sia stato nemmeno in grado di garantire una maggiore brillantezza delle imprese private.
Senza dimenticare inoltre, come liberalizzazioni e scarsa competitività dei privati stiano creando terreno fertile per un potenziale cavallo di Troia sul territorio nazionale. Basti pensare a Telecom, Wind-Tre o Italo: la prima in mano agli americani e ai francesi, la seconda ai cinesi e la terza di nuovo agli americani. Un atteggiamento rinunciatario ed irresponsabile, che non considera quanto la massiccia infiltrazione di colossi stranieri nei settori strategici -come telecomunicazioni e trasporti per l’appunto- rischi di rendere uno stato vulnerabile a livello tanto economico, quanto diplomatico. Un’altra bizzarria di quest’epoca storica in cui l’economia è centro gravitazionale di ogni dibattito, ma in cui, parimenti, tutti sembrano ignorare i più elementari principi di politica economica.
Le infrastrutture al tempo dell’austerità
Un’analisi sulle attuali condizioni di salute delle imprese e sulle storture delle liberalizzazioni infine, non può certo esulare da una riflessione più profonda sulla precarietà delle nostre infrastrutture, solo frettolosamente accennata poc’anzi. Di recente, l’Unione Province Italiane ha diramato un dossier richiesto dal Ministero dell’Interno dopo la tragedia di Genova, evidenziando un risultato allarmante: 1918 opere sono a “priorità 1”, ovvero necessitano di interventi urgenti ed immediati. Peccato che il presidente Achille Variati, abbia immediatamente messo le mani avanti, annunciando al Fatto Quotidiano la mancanza dei fondi necessari. Una dichiarazione che non si può certo imputare ad una pianificazione delle priorità imposta dallo stesso Variati, bensì alle tenaglie restrittive che soffocano gli investimenti statali anche in condizioni di estrema necessità.
E’ necessario perciò, fare chiarezza una volta per tutte sulla ratio della spesa pubblica. “Non ci sono i soldi” sta diventando un mantra insopportabile, che liquida in maniera superficiale una situazione complessa e che dovrebbe essere affrontata con maggiore responsabilità.
La lezione di Savona
Citando le parole pronunciate da Paolo Savona, nell’intervista concessa a Lucia Annunziata,
“negli investimenti pubblici l’analisi costi/benefici significa l’effetto che questi avranno sul sistema sociale. Bisogna calcolare cioè, il valore sociale.”
Quello che il Ministro per gli Affari Europei ha tentato di spiegare in buona sostanza, è che la spesa pubblica deve essere pianificata con valori differenti, poiché differenti sono le finalità; il welfare non può essere dominato dalla logica ortodossa degli investimenti privati, dove conta l’esclusivo perseguimento di una rendita superiore all’investimento.
La natura incompatibile di questi due approcci viene dimostrata dai risultati prodotti da decenni di privatizzazioni nei servizi statali. Decenni nei quali infrastrutture, istruzione, sanità e tutti quei settori strategici (strutture portanti di ogni paese sovrano) nei quali l’efficienza deve prevalere sull’utile, sono stati concessi in gestione a personaggi la cui unica stella polare è la differenza positiva tra costi e ricavi. Personaggi che aumentano i pedaggi, risparmiando in manutenzione. Personaggi che sono la nemesi dell’interesse collettivo e del summenzionato beneficio sociale.