La vera identità del PD, Partito Democratico, è un qualcosa su cui molti osservatori si stanno interrogando. A quale ideologia politica sia afferente, a quale visione del mondo si richiami, e quali programmi abbia per l’Italia sono alcune delle questioni irrisolte che gravitano intorno ad un partito diventato enigmatico.
“È inutile che voti PD pensando che da giovane era il Partito Comunista italiano. È come trombarsi una vecchia pensando che da giovane era una gran figa”.
Con questo colorito proverbio un anonimo cittadino italiano è riuscito in poche parole a riassumere in maniera efficace le principali caratteristiche del Partito di via Sant’Andrea delle Fratte. E in effetti vien da riflettere se si pensa che l’attuale Partito Democratico, che nel nome ricopia senza aggiunte l’omonimo partito americano, possa essere considerato l’erede del vecchio Pci. Anche nel mondo umano però ci sono discendenze di sangue che trovano pochi riscontri nei tratti somatici e nelle caratteristiche psicologiche. Figli che dei genitori hanno solo il cognome. E questa potrebbe essere la storia e la spiegazione di questa strana discendenza ideologica, a meno che non si supponga l’intervento esterno del “giardiniere” o “idraulico” di turno.
Cronologia di un Partito morente
Il Partito Democratico nasce il 14 ottobre 2007 dall’idea di Michele Salvati, ex deputato dei Democratici di Sinistra, che voleva, in sostanza, riproporre l’esperimento dell’Ulivo sotto altre spoglie.
“Riformista, europeista, socialista, democratico e progressista”,
con queste etichette nasceva così il Partito Democratico che, durante il secondo Governo Prodi, assunse immediatamente il ruolo di partito di maggioranza. Da lì in avanti il neonato PD avrebbe governato ancora per un anno, fino alla sconfitta elettorale del 2008, per poi ritornare a comporre l’esecutivo dopo le elezioni del 2013. Il PD non avrebbe poi lasciato Palazzo Chigi fino alle ultime elezioni del 2018, mettendo tre uomini alla Presidenza del Consiglio: Enrico Letta, Matteo Renzi e Giovanni Gentiloni (anche se nessuno dei tre è passato attraverso una consultazione elettorale). Tracciata la storia, cerchiamo ora di capire come questo Partito, che insieme all’ala berlusconiana ha segnato la storia della II Repubblica, sia precipitato ad un misero 16% nei recenti sondaggi, con prospettive ancora più al ribasso.
Il Pd è un partito di sinistra?
La risposta non può che essere negativa se si prende per buona la definizione di “sinistra” che ha permeato la cultura politica italiana del ‘900. Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Filippo Turati sono i padri politici dell’area presa in considerazione ed è a loro e al loro pensiero che bisogna guardare per verificare la compatibilità con l’attuale Partito Democratico.
“L’utero in affitto è una pratica abominevole in quanto apice del classismo”,
diceva Gramsci.
Il Partito Democratico ha recentemente nominato l’attivista pro utero in affitto, Sergio Lo Giudice, come responsabile del Dipartimento tematico dei diritti civili del Pd.
Palmiro Togliatti e con lui tutto il Pci votarono contro la ratifica dei trattati che istituirono la Comunità Economica Europea, CEE, nel 1957. Oggi il Partito Democratico sostiene in maniera insistente la cessione di ulteriori porzioni di sovranità all’Unione europea.
In cima all’agenda degli impegni politici di Pietro Nenni e Filippo Turati vi era la creazione di uno Stato sociale in grado di garantire servizi accessibili alle fasce più vulnerabili della popolazione. Gli attuali membri del Partito Democratico sono gli stessi che, negli anni ‘90, hanno deciso di dare in concessione a soggetti privati la gestione di servizi pubblici strategici. Le cause del crollo del Ponte Morandi sono quelle che non avrebbero fatto dormire la notte a Nenni e Turati. Dai diritti civili alla politica estera, passando per i diritti sociali, il Partito Democratico non ha dunque più nessun elemento afferente all’area “sinistra”.
La sinistra dopo il 1989
Se il Partito Democratico non è più di sinistra, ma da quest’area trae genealogicamente la sua identità, occorre identificare il momento della metamorfosi. Molti osservatori sono ormai concordi nell’identificare il 1989 come anno di svolta della sinistra italiana, ma più in generale della sinistra europea. Scomparso l’ombrello sovietico sotto cui i partiti di quest’area traevano la propria forza economica soprattutto, ma anche ideologica, ecco che gli esponenti si sono ritrovati improvvisamente spaesati, come un bambino che appena uscito di scuola non vede i genitori fuori dal cortile.
In questo decisivo momento di transizione storica la sinistra italiana si è trovata di fronte ad un bivio: cercare una via italiana e nazionale alla sinistra nel solco ideologico tralasciato dai suoi padri fondatori oppure, molto più semplicemente, accodarsi ad un nuovo padrone. Inutile aggiungere che la scelta si sia orientata verso la seconda opzione e che da allora la capitale di riferimento della sinistra si sia trasferita da Mosca a Maastricht prima e a Bruxelles poi. Dagli animati dibattiti in seno alle Internazionali comuniste si è passati alle più sobrie e incravattate riunioni a margine della Commissione europea. Dall’Unione Sovietica all’Unione europea, la sinistra ha cambiato padrone e principio politico. Non più “comunista” o “socialista”, ma “europeista” e “riformista”.
La generazione fallita del ’68
Questa scelta, spontanea, di asservimento ha però delle radici nelle storie personali degli esponenti politici che troviamo oggi nel Pd. C’è tutta una schiera di personaggi, da Gentiloni a Fassino, passando per Napolitano e D’Alema, che può vantare un buon curriculum di agitatore di piazza sessantottino. E il fatto che questi stessi incendiari anticapitalisti, difensori strenui del proletariato, siano diventati oggi accaniti sostenitori del rigore dei conti pubblici, della libera circolazione di merci e capitale e delle privatizzazioni dimostra il loro storico fallimento personale.
I Gentiloni, i Napolitano, i Fassino e i D’Alema sono il simbolo di una generazione che è scesa in piazza con i lavoratori, ha stretto amicizia con gli operai ne ha conosciuto le tragedia personali per poi voltargli le spalle e accettare la poltrona assegnatagli dallo zio, dal cugino o dall’amico. Lo zoccolo duro dei dirigenti del Pd e di parte dei suoi attuali elettori è lo specchio di una classe agiata, alto borghese, che vive nei centri città e nelle zone residenziali, che si è sistemata e realizzata proprio a cavallo tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, al termine di quella grande presa in giro chiamata ‘68.
Chi sono gli elettori del PD?
Quella che compone il Pd è un’anima improduttiva del Paese, quella delle fondazioni, degli istituti e dei think tank. Si limitano a produrre al massimo alcuni servizi, destinati a pochi con il contributo di molti, quando occupano i piani alti di banche e grandi assicurazioni. Difficile trovare elettori e membri del Pd tra la Piccola e media imprenditoria italiana, il vero tessuto produttivo del Paese.
Ecco perché, nonostante la batosta elettorale, il Pd si ostina a non cambiare programma e battaglie. Europa e riforme restano al centro, come principali baluardi per difendere i propri interessi di categoria. Più Europa significa maggiore potere alle banche private rispetto a quelle centrali che, con l’Europa, non esistono più. Più riforme, che nel gergo significano più privatizzazioni, vuol dire maggiori vantaggi per i grandi aggregati economici appaltatori dei servizi pubblici. In soldoni più potere allo zoccolo duro che compone il Pd. Ecco perché il Partito Democratico è un movimento costruito per le elites.