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Ursula, la maternità e la questione di classe

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Mi ha davvero lasciato di stucco la storia della presidente Ue Von der Leyen, madre di ben sette figli, secondo cui fra carriera e maternità non serve scegliere e le due cose sono assolutamente compatibili.

di Antonio Di Siena

Belle parole. Davvero. Il problema però è sempre lo stesso: i soldi. Perché se in astratto è certamente possibile conciliare la genitorialità con la realizzazione professionale, nel mondo reale questo accade unicamente se si dispone di tre imprescindibili elementi.

Il supporto dei nonni, la possibilità economica di pagare una baby sitter e, soprattutto, uno Stato che metta in atto concrete misure di welfare (asili nido a tempo pieno, incentivi ai nuovi nati, sussidi per l’assunzione di collaboratori domestici).

Diversamente parliamo del nulla. Perché la voglio proprio vedere una giovane donna italiana precaria riuscire a fare anche solo un figlio in assenza delle predette tre condizioni e, al contempo, fare carriera.

Ora, il problema è che se questa frase da libro dei sogni l’avessi ascoltata da qualche boldrina di passaggio ci sarei passato sopra con un sorriso. E invece proviene dalla più alta rappresentante di un’istituzione, l’Unione europea, che attenta costantemente a quella parità che a parole promuove.

Perché se in nome del mercato imponi sempre maggiore flessibilità lavorativa, sistematici aumenti dell’età pensionabile e costanti tagli alla spesa pubblica, non fai altro che sgretolare qualunque possibilità per una giovane donna di conciliare il naturale desiderio di diventare mamma con la sacrosanta volontà di affermarsi sul lavoro.

Quello che (forse) non sanno ai piani alti dei palazzi di Bruxelles è che flessibilità e precariato significano totale assenza di diritti per le lavoratrici. In primis quello alla maternità. L’aumento dell’età pensionabile coincide con l’impossibilità per i nonni di fare i nonni.

E i tagli alla spesa pubblica si traducono in meno servizi e sostegno per le giovani coppie. Quindi cara Ursula tu sarai stata molto brava, o fortunata, o magari (e più probabilmente) già ricca di famiglia.

Nello stramaledetto mondo reale, invece, le cose non funzionano esattamente così. E chi vorrebbe avere dei figli deve spesso rinunciarci. Per scelta oppure per colpa di un modello di sviluppo che costringe i giovani ad acquisire condizioni economiche dignitose troppo tardi, quando i figli non è più così facile averli.

Chi ha la fortuna di vederli nascere (ma molti si fermano a uno solo per pura necessità), poi, deve fare i salti mortali per crescerli e ci riesce solo e soltanto grazie all’aiuto amorevole e incondizionato della tanto vituperata famiglia, dei nonni. L’unica reale rete di sostegno che ancora resta in piedi visto che per lo Stato e per l’Ue devi semplicemente vedertela da sola.

Morale: una società più giusta e paritaria riusciremo a costruirla solo e soltanto quando saremo in grado di riconoscere (e quindi affrontare) i veri responsabili della condizione attuale. Lasciando perdere tutto il resto.

Vuote battaglie di testimonianza, slogan pubblicitari, utili soltanto a confondere e distrarre un popolo sempre più indaffarato (anche nella gestione familiare) per fermarsi a riflettere su chi sia il vero nemico. Questo è. Il resto è propaganda.
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