Nel 1989, una femminista afro-americana, K.W.Crenshaw, presenta la sua teoria dell’intersezionalità. Al di là del nome un po’ complicato, la teoria enuncia l’ovvio ovvero che ogni individuo è collocato nell’arena sociale in base a logiche di gerarchia.
di Pierluigi Fagan
Ma le gerarchie sono tante e diversi tipi, ad esempio: anagrafica, sessuale, di genere, di razza, di etnia, di classe o casta, di religione, di aspetto fisico etc. In ogni individuo, queste diverse gerarchie si sommano determinando lo status sociale finale.
Il quadro analitico l’abbiamo definito “ovvio” perché riteniamo che la lettura della storia sociale planetaria (quindi non solo “moderna” e non solo “occidentale”) confermi il fatto che, dalla loro nascita cinque-seimila anni fa), le società complesse si formano in base al principio di gerarchia, prima inesistente o più debole o reversibile. Ma quello che a noi sembra ovvio, per altri non lo è.
Ad esempio il “capitalismo” sarebbe gerarchico per classe sociale cosa ritenuta “naturale” per i liberali che invece si battono contro le gerarchie di determinazione individuale ad esempio sesso-genere, razza etc. Che in genere fondano quei sistemi di pensiero, ordini che determinerebbero da soli il resto della partizione gerarchica e la sua più o meno problematicità.
L’intersezionalità invece, somma i principi che danno luogo a diversi tipi di gerarchie. Quindi le femministe generiche non definite per etnia pensano che la gerarchia fondamentale (assunta come principio metodologico) sia uomo-donna.
Le femministe nere pensano sia uomo-donna+etnia, le femministe nere lesbiche pensano sia uomo-donna+etnia+orientamento sessuale, quelle nere lesbiche e povere pensano siano uomo-donna+etnia+orientamento sessuale+classe sociale e così via, da leggere al di là dell’ordine con cui le ho riportate. La questione ha rilevanza nell’ambito degli studi sull’eguaglianza-diseguaglianza, in analisi e prognosi.
Si formano così gruppi culturali e poi politici che combattono l’ineguaglianza una per una, ritenendo quella del loro “principio metodologico”, la prioritaria e generativa di ogni altra.
Ma se invece il “principio di gerarchia” è analitico e non sintetico, se è un portato consustanziale le società da una certa complessità in su (data in primis, dalla semplice dimensione del gruppo sociale), ognuna di queste teorie della diseguaglianza risulterebbe parziale e sottodimensionante il problema.
Ammesso lo si ritenga un problema, i “diseguaglianti naturali” ad esempio, lo ritengono un non problema in quanto fatto naturale e come tale “giusto”. Lo pongo come fatto-problema da discutere, assieme ad un altro.
Il “principio di gerarchia” potrebbe esser un facilitatore sociale, un semplificatore. Bene quelli simili a me, gli altri … è da vedere. I simili a me sono prevedibili, comprensibili, intuibili, gestibili perché ho gli strumenti per relazionarmi con loro (abbiamo cioè la stessa “teoria della mente”), con gli altri non lo so.
Ed in base a ciò potrebbe esser un ordinatore ovvero stabilire le relazioni di potere tra gruppi all’interno del sistema sociale comune, quelli come me stanno su o prima, gli altri stanno giù o dopo. Un “come me” relativo s’intende.
La gerarchia avrebbe dunque una funzionalità semplificante e procedurale dei flussi di relazione (potere) nel sistema sociale. Ma sembrerebbe poggiarsi per sostanza, sulla differenza di immagine di mondo. Ogni individuo che è sempre dotato di una identità sfumata e composita (principio di identità complesso), ha una mentalità definita quindi differente con chi ne ha un’altra.
L’appartenenza comune ad un gruppo (a esempio “i maschi” di sesso e genere) dà preventivamente garanzia di condivisione di certe parti dell’immagine di mondo: “abbiamo (più o meno) degli interessi comuni e comuni modi sentire e pensare riguardo certe cose”.
L’argomento è radioattivo e difficile da discutere. Avendo immagini di mondo a volte incommensurabili (senza “misura” comune, basate su differenti principi che danno vita a differenti organizzazioni di pensiero), può mancare il terreno comune per la discussione, ad esempio il significato dei termini e dei concetti oltreché ovviamente dei valori e dei giudizi.
In più, se è poi questa la radice del problema come ipotizzato, la discussione stessa è gravata dalla difficoltà di essere parte del problema stesso. Ma invito a provarci lo stesso.