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Piano Colao: l’ultimo atto di una svendita nazionale iniziata nel 1992

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Che l’attività della task force capeggiata da Vittorio Colao fosse coperta da una grande zona d’ombra lo si era capito fin da subito.

Non è infatti ancora chiaro di quale procedura dell’iter democratico parlamentare si sia avvalso il Governo Conte per nominare una squadra, o una task force come piace dire ai più ottusi esterofili, di presunti esperti del mondo delle grandi aziende private, con l’obiettivo di stilare un piano di ripresa economica dell’Italia.

Certo sui curricula di Colao & friends non c’è niente da dire. Ruoli da top manager nelle più rinomate aziende multinazionali, fusioni, operazioni di trading, di liquidazione e di rilevamenti di aziende fallite. Al netto di quest’innegabile esperienza lavorativa, non si comprende tuttavia come un semplice curriculum possa de facto bypassare il normale iter di approvazione parlamentare.

Perché la task force non è stata approvata

dopo discussione nell’organo predisposto alla rappresentanza popolare? L’assenza di questo necessario passaggio non può che far sorgere dubbi e sospetti rispetto alla scelta dei componenti della task force: in base a quale criteri sono stati selezionati proprio loro? Dubbi che sono cresciuti nel tempo, quando abbiamo scoperto che il “capo” di questa squadra, Vittorio Colao, si è addirittura preso la libertà di “lavorare da remoto”.

Dall’inizio del suo mandato Colao non si è infatti mai spostato dalla città in cui si trovava, Londra, dove per altro aveva passato la maggior parte del tempo negli ultimi anni. Colao ha quindi potuto stilare il suo piano per il rilancio del tessuto socioeconomico italiano in collegamento streaming dalla corte di Sua Maestà. Eppure il lavoro di un vero “esperto” non avrebbe potuto prescindere da una visita sul campo, perlomeno per osservare una realtà, quella italiana, che Colao non vede ormai da troppo tempo.

La realtà economica italiana non è Vodafone, di cui Colao è stato manager, ma è composta da tantissime piccole e medie imprese, microimprese a conduzione famigliare e partite iva. Realtà diverse caso per caso, con differenze enormi da nord a sud per contesto e vissuto culturale. Realtà che andrebbero conosciute direttamente, parlando con le persone protagoniste. Altrimenti come si potrebbe pensare di elaborare un piano di rilancio dalla peggior crisi dalla seconda guerra mondiale che possa tenere in conto le esigenze di tutte queste piccole realtà?

E infatti il piano Colao sembra tarato non già sulle PMI

che rappresentano più dell’80% delle aziende italiane, ma sul modello Vodafone. Grande azienda, dal grande fatturato e dall’alto capitale tecnologico. Sono infatti uscite le prime indiscrezioni di una bozza di piano elaborata da Colao & friends e che dimostra la misconoscenza della task force rispetto alla realtà italiana. Si parlerebbe infatti di una dismissione su larga scala delle aziende che ancora mantengono una consistente fetta di capitale pubblico.

Eni, Enel, Finmeccanica, Leonardo, Fincantieri. Gli ultimi gioielli italiani, che hanno dimostrato negli ultimi anni di sapersi muovere con grande spirito di competizione nel grande mercato globale. I soldi ottenuti da questa svendita, insieme alle riserve auree di Banca d’Italia, andrebbero così a costituire un grande fondo destinato esclusivamente agli investimenti nell’industria 4.0. Si può facilmente capire come non tutte le aziende abbiano in questo momento come priorità la digitalizzazione del loro piccolo negozio. Parruchieri, estetisti, ferramenta, bottegai e negozianti di qualsiasi genere, costretti a due mesi di chiusure e di assenza di fatturato, non hanno nel loro “business plan” la voce “industria 4.0”. Avrebbero bisogno di soldi e basta.

Il piano Colao appare dunque come il colpo di grazia

non solo verso quel poco che resta di patrimonio pubblico dopo le scellerate svendite prodiane, ma anche verso il più importante patrimonio privato italiano, quello che nel tempo ha contribuito a creare il ricchissimo tessuto socioeconomico particolare di ogni regione: le piccole e medie imprese.

Il piano Colao prevede un maxi salvataggio solo per i grandi, quelli che, secondo la peggiore accezione di darwinismo sociale, sono riusciti a battere i loro “competitors”. Quelli che sono pronti a farsi più “digital” e più “green”, in vista di questo grande cambiamento che sarà finanziato con i fallimenti dei piccoli.

 

Leggi anche:

Colao decide le sorti dell’Italia in collegamento da Londra?

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Di Redazione Elzeviro.eu

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