La pandemia di Covid-19 ed i meccanismi emergenziali ad essa direttamente collegati, hanno contribuito ad affossare ancora di più i due elementi essenziali per un dibattito pubblico sano: spirito critico e pluralismo.
di Andrea Zhok
A breve si riunirà, in forma ormai consuetudinariamente clandestina, la cabina di regia per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per poter presentare il primo rendiconto e ricevere i primi fondi nel 2022, l’Italia dovrà soddisfare 42 delle 51 condizioni previste negli accordi.
Sono riforme che vanno da una riforma della giustizia, a una revisione delle politiche del lavoro, a una riforma dell’università, ecc.. In tempi normali avrei cercato di approfondire le questioni in oggetto, per vedere cosa si sta preparando, visto che impatterà sul futuro nostro e delle generazioni a venire in maniera potentissima.
Che senso ha affaticarsi a studiare e approfondire, quando quasi tutti (incluse persone che dovrebbero fare dell’approfondimento intellettuale la loro professione) desiderano solo che si inserisca il pilota automatico, che si deleghi ai competenti, che li si lasci in pace?
In queste settimane chi ha cercato di attivare qualche residuo di spirito critico ha percepito che gli spazi per dibattere fuori dal cerchio di gesso che delimita le credenze ortodosse (così stabilite dall’alto) sono nulla. Radio, televisioni, parlamento, magistratura possono allinearsi in un baleno quando le pressioni giuste sono esercitate.
Abusi, coazioni, forzature, ricatti, discriminazioni, omissioni, bastonature mediatiche, distorsioni della Costituzione, censure, macchine del fango, ecc. tutto è passato in cavalleria, senza sentire neanche il bisogno di verificarne i presupposti, senza che un sussulto di indignazione (prepolitica) metta in allerta.
Per alcuni la scusa è che di fronte all’urgenza, all’emergenza, all’allarme sanitario, non ci si può mica mettere di traverso! E’ uno sforzo di salute pubblica, vivaddio! (Che Dio li perdoni). Per altri, però, per i più, non c’è bisogno neanche di giocare al gioco del “vincolo esterno”, della necessità pressante e inderogabile.