Dalla comunità internazionali ai media l’approccio alla politica estera non cambia di una virgola: due pesi e due misure. A confermarlo è l’indignazione verso Maduro, dopo giorni di silenzio durante l’anarchia mediorientale.
Se c’è un aspetto che unisce il modus operandi di opinionisti ed operatori del settore diplomatico, questo è senz’altro il principio con il quale vengono approcciate le crisi internazionali: quello del due pesi e due misure. E’ tutto relativo, tutto aleatorio, tutto rimesso alle proprie simpatie, ai valori della propria società o alle alleanze geopolitiche del paese di provenienza. L’ennesima triste riprova è sotto i nostri occhi e basta operare un rapido confronto tra ciò che è successo negli ultimi giorni e ciò che inevitabilmente accadrà del futuro prossimo.
Stampa occidentale, comunità internazionale e parlamento europeo (nonostante il grattacapo Brexit) infatti, si stanno già stracciando le vesti per il provvedimento con il quale Nicolas Maduro ha appena revocato la carica di presidente dell’Assemblea Nazionale a Juan Guaidò, inibendolo da qualsiasi carica pubblica per i prossimi 15 anni: un atto intimidatorio, un attentato alla democrazia, un tentativo di silenziare l’opposizione. Insomma i commenti esternati, con prosopopea apocalittica, descrivono un provvedimento totalitario e criminale, dimenticandosi qualche dettaglio non irrilevante.
Le libertà del presidente autoproclamato
Ad esempio che dal 22 Gennaio una tra le più alte cariche istituzionali di un paese di 32 milioni di abitanti, abbia fomentato un colpo di stato in totale spregio delle elezioni presidenziali dell’estate scorsa (avvenute sotto gli occhi degli osservatori internazionali) vinte da Maduro, si sia autoproclamato presidente secondo la personalissima interpretazione di una clausola costituzionale, abbia organizzato comizi in tutto lo stato, girato il mondo per cercare endorsement internazionali ed abbia invocato a più riprese l’intervento militare di potenze straniere contro il suo stesso paese
Il tutto, privo del benché minimo appoggio delle forze armate, elemento basilare per qualsiasi golpe degno di questo nome. Insomma, una sequenza di libertà inusuali per un totalitarismo sanguinario, sebbene l’origine della generosità del presidente vada probabilmente ricercata nella spropositata attenzione mediatica alla quale è esposto il Venezuela.
Il silenzio sui missili Israeliani e Sauditi
In tutto questo, nei giorni scorsi un ospedale di Save the Children è stato abbattuto da un missile saudita causando 7 morti e 9 feriti, Israele ha scandito la consueta rappresaglia sproporzionata a suon di bombe su Gaza, per poi sganciare il giorno seguente qualche missile in una zona industriale di Aleppo. Le reazioni? Qualche testata pare essersi accorta dopo 4 anni del conflitto yemenita (peggior crisi umanitaria del secolo secondo l’ONU), naturalmente senza citare l’identità dell’aggressore, mentre per quanto riguarda gli episodi che coinvolgono lo stato ebraico non si è andati molto oltre il flash di agenzia. Dinamica strana, non tanto per la tensioni interne con i palestinesi – viste oramai come ordinaria amministrazione – quanto piuttosto per ciò che è avvenuto oltre il confine siriano: un bombardamento operato sul suolo di uno stato sovrano con il quale non si è ufficialmente in guerra, ma che rientra in un progetto espansionistico di invasione e conquista (a partire proprio dalle alture del Golan), conosciuto come “Grande Israele”.
La sintesi di tutto questo è che se un ingegnere di 35 anni viene punito per aver giocato a fare il presidente – ed istigato una guerra civile – per due mesi, comunità e stampa internazionale si cospargono di indignazione, invocando provvedimenti esemplari; d’altra parte, il medio oriente continua ad essere una zona franca in cui il popolo eletto e i sauditi restano legibus soluti, totalmente svincolati da ogni elementare principio di diritto internazionale, come il divieto di aggressione, il rispetto dei confini o dei tanto sbandierati diritti umani. Non sarà certo l’Ottavo blog di Freccero a salvare questa baracca maleodorante, ma se c’è un settore nel quale serve urgentemente una voce dissidente ed un barlume di pluralismo, è proprio quello della politica estera.