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De Blasio, Cuomo, Trump e il terrorismo (questo sconosciuto)

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Le dichiarazioni delle tre figure istituzionali dopo l’attentato di New York, sembrano avere un unico preoccupante comune denominatore: lo scarso interesse per il fenomeno terroristico.

In tutta onestà, è molto complicato immedesimarsi negli abitanti di New York senza aver mai vissuto esperienze analogamente drammatiche. Quali meccanismi di reazione si innescano quando la tua città viene colpita in modo così subdolo ed imprevedibile? Cosa scatta nella testa quando otto vite vengono stroncate, seguendo un modus operandi così infame, a pochi metri da casa tua? Ciò che si può immaginare, restando umilmente nel campo delle supposizioni, è che subentri una pletora di sentimenti negativi (ma umani) molto difficile da domare: dal rancore alla delusione, dalla frustrazione al dolore, dalla sfiducia fino alla brama di vendetta.

Le risposte della politica che non soddisfano

Viene spontaneo rappresentarsi una condizione psicologica avvilente e deve risultare difficile auspicare un miglioramento nel breve periodo. A maggior ragione, se le tre istituzioni verso le quali la città, obtorto collo, guarda con maggior attenzione, si esibiscono in dichiarazioni simili a quelle rilasciate da De Blasio, Cuomo e Trump.

La politica, in questi frangenti, non è inutile e non può nemmeno subire inerme il corso degli eventi. Altresì, deve reagire attivamente. Il che, non significa recitare un ruolo da semplice palliativo, limitandosi a rincuorare la popolazione frastornata con un’ideale pacca sulla spalla. Il politico capace, in simili contesti, trasmette la sensazione di aver compreso il fenomeno che ha generato l’emergenza e successivamente, annuncia con fermezza di volerlo fronteggiare. Esattamente il contrario, per un motivo o per l’altro, di ciò che hanno dimostrato Sindaco, Governatore e Presidente.

Sindaco e Governatore si voltano dall’altra parte

Andrew Cuomo, alla guida dello Stato di New York dal 2011, ha dispensato la consueta retorica pacifista e tollerante, molto à la page negli ambienti progressisti occidentali, secondo la quale i cittadini non dovrebbero farsi intimorire, né cambiare il proprio stile di vita. Come se bastasse mettere la testa sotto la sabbia, alla stregua degli struzzi, per eliminare il problema.

A grandi linee, quello che sostiene anche il Sindaco De Blasio, con l’aggiunta di un altro grande classico già ammirato dopo le stragi di Nizza, Manchester, Londra e Barcellona: la frecciata anti populista. Il primo cittadino della “Grande Mela” infatti, confermando una perversa gerarchia delle sue priorità, ancor prima di cimentarsi nelle solite fumose condanne di rito, si è affrettato nel dichiarare “L’ultima cosa che il presidente, o chiunque altro, dovrebbe fare, è politicizzare questa tragedia”. Come se preoccuparsi delle potenziali castronerie (non ancora) dette da Trump, con otto cadaveri ancora caldi e 15 feriti in ospedale, non corrisponda ad una politicizzazione di questa strage.

Trump non ha ancora chiare le ragioni profonde del terrorismo

Ed ora, terminiamo il nostro tour di dichiarazioni discutibili, occupandoci giustappunto di “The Donald”. Il Presidente, secondo lo stile da medianaccio senza fronzoli che lo contraddistingue, ha affermato “Gesto di un animale malato e folle, lo vorrei vedere a Guantanamo, ma conosciamo i tempi della giustizia… c’è qualcosa di più appropriato ed è la pena di morte”. Un atteggiamento che gli ha procurato il plauso di molti “destri” duri e puri nostrani (i quali l’hanno definito più umano, rispetto alle reazioni analizzate poc’anzi), ma che evidenzia un peccato di superficialità tipicamente americano.

Liquidando l’accaduto come singolo gesto di un disturbato e focalizzandosi sulla necessità di una risposta sanzionatoria esemplare, Trump non solo fornisce la prova irrefutabile della sua scarsa comprensione circa le dinamiche terroristiche, ma ostenta anche il più classico dei complessi di superiorità a stelle e strisce. Sbandiera cioè, quella caratteristica arroganza d’oltreoceano che impedisce agli americani di mettersi in discussione, di analizzare le proprie responsabilità e di comprendere le proprie colpe. Non una frazione di dubbi, non un sussulto di umiltà. L’America gode, per diritto divino, del ruolo di arbitro esclusivo delle sorti del mondo (ed in questo, purtroppo, il Tycoon rappresenta eccome la maggioranza), ma quando viene attaccata è soltanto una vittima incolpevole.

Destabilizzazione e distruzione di sovranità, gli ingredienti per crearsi terroristi in casa

Nella roccaforte dei diritti e della libertà, alcune certezze non possono essere messe in discussione. Vietato ipotizzare che gli attentati di matrice islamista, in America e in Europa, siano il risultato di una destabilizzazione prolungata del Medioriente. Di interventi aggressivi e criminali che hanno reso la Libia, l’Iraq e la Siria (senza dimenticarsi della carneficina afghana tuttora in corso) delle polveriere inabitabili, nelle quali Daesh ha trovato modo di proliferare. Non è possibile imputare agli eredi dei nostri liberatori di essersi inseriti in un conflitto interreligioso (o meglio, intraislamico), a migliaia di chilometri da casa e di essersi fatti sfuggire di mano quelle bande che avevano addestrato, nel vano tentativo di rovesciare Assad. Le stesse bande che, poco tempo dopo, hanno dato il via a quella formazione terroristica che risponde al nome di Stato Islamico. Sì, quella che oggi dissemina terrore anche nel centro della loro città più simbolica.

Potrebbe essere l’occasione per comprendere come quella scelta dissennata di voler radere al suolo la resistenza sciita, isolare l’Iran e rendere il Medioriente un giardino di casa abitato dagli alleati sunniti, si stia rivelando non solo faticosa, ma anche controproducente. Soprattutto, se sono proprio le petrolmonarchie tanto care a Washington a finanziare e ad armare l’Isis. Potrebbe essere, ma così non è. Per Trump, si tratta solo di un pazzo che ha insanguinato la patria della democrazia.

Insomma, stando a certe dichiarazioni delle sue figure istituzionali più importanti, la comunità newyorkese ha pochi elementi per sentirsi rassicurata.

Il vate dei webeti dice la sua sull’attentato

A meno che, non decidano di tirarsi su il morale sposando le ottimistiche teorie di Enrico Mentana. Secondo il cacciatore di webeti infatti, sembra che la buona riuscita dei festeggiamenti di Halloween rappresenti una netta sconfitta della strategia terroristica. Un po’ come se un botellon in Plaza de Catalunya potesse porre la parola fine alla crisi secessionista.

 

di Filippo Klement

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