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Ecco come smontare i sostenitori del MES con pochi semplici dati

28/01/2002 ROMANO PRODI E MARIO MONTI PRESIDENTE E COMMISSARIO EUROPEO ALLA UNIVERSITA' BOCCONI

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Sta girando molto un post di tale Emilio Mola che, secondo l’autore, smonterebbe le tesi di tutti coloro che sostengono che il ricorso al MES non andrebbe neanche preso in considerazione.

di Gilberto Trombetta

Per farlo, utilizza come esempio virtuoso 3 Paesi che al MES sono stati costretti a ricorrere. Cioè Spagna, Portogallo e Irlanda.

Non si tratta di un’operazione nuova. Il duo comico Alesina e Giavazzi, dalle prestigiose pagine del Corriere, ha spesso provato a portare questi 3 Paesi come esempi di successo della loro così cara “austerità espansiva”. Fallendo miseramente davanti alla realtà dei dati.

Perché il trucco di queste persone è sempre lo stesso: selezionare solo quella minima parte di dati che, avulsi dal contesto e scorrelati dagli altri indicatori, sembrerebbero confermare le lore “tesi”.

Si tratta però della solita propaganda slegata dai fatti. Condita con un po’ di cherry picking.

Partiamo da un fatto incontestabile: di austerità quei 3 Paesi, a differenza dell’Italia, non ne hanno mai fatta.

Basta guardare il rapporto deficit/PIL degli ultimi anni.

L’Irlanda dal 2008 al 2019 ha realizzato un rapporto deficit/PIL in media del 7,2% (86,5% in totale). La Spagna del 6,38% (totale 75,6%). Il Portogallo del 5,05% (totale 60,6%).

E infatti il rapporto debito/PIL di questi Paesi è cresciuto, in termini percentuali, molto di più di quello dell’Italia che è anzi il Paese che più di tutti si è attenuto alle folli regole europee.

Il rapporto debito/PIL del Portogallo è passato dal 55,3% del 1992 al 121,5% del 2018 (+119,7%), Quello della Spagna dal 45,4% al 97,1% (+113,8%).

Vediamo però qualche altro dettaglio

su questi 3 supposti campioni dell’austerità espansiva. Cioè vediamo quali sono stati gli effetti del MES nonostante la spesa pubblica effettuata.

Secondo un report pubblicato da Lisdata, in Spagna dopo 10 anni dallo scoppio della crisi, il reddito mediano reale è lo stesso del 2007, quello delle fasce di reddito sottostanti è invece crollato spaventosamente in termini reali, mentre il reddito dell’1% superiore è ovviamente cresciuto (+ 21%).

Anche il Portogallo ha registrato un taglio evidente dei salari reali, registrando un -8,3% tra il 2010 e il 2017.

La Spagna ha registrato un calo della produzione industriale del 21% rispetto ai livelli pre-crisi, il Portogallo del 14%.

Questo nonostante il rapporto deficit/PIL di Portogallo e Spagna, come abbiamo visto in precedenza, non sia stato negli ultimi anni neanche lontanamente paragonabile a quello dell’Italia.

La Spagna

è oggi il terzo Paese europeo per tasso di disoccupazione (13,6%). Anche per quanto riguarda la disoccupazione giovanile che è del 30,9%. Anche il Portogallo, nonostante il costante calo recente, ha un tasso di disoccupazione giovanile che supera di poco il 20%, Cioè un giovane su 5 non ha lavoro. Per non parlare di quelli costretti a lasciare il Paese per mancanza di salari dignitosi.

Sull’Irlanda, poi, varrebbe la pena sempre di ricordare che – a parte il paragone inopportuno con l’Italia per dimensione, popolazione e tipologia di economia – si sta parlando di uno dei tanti paradisi fiscali presenti in Europa (il continente, insieme al Sud America, che ne conta di più).

Cioè esattamente come l’Olanda, l’Irlanda sottrae risorse agli altri Paesi della UE attraverso il dumping fiscale. Un danno, per l’Italia di circa 7,6 miliardi di euro ogni anno, il 19% del proprio gettito fiscale.

 

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