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Smart Working e Didattica a distanza: l’altra faccia della medaglia

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La pandemia di Coronavirus che ha colpito il nostro paese negli ultimi mesi, ha costretto milioni di lavoratori allo smart working e tutti gli studenti italiani alla didattica a distanza: conseguenze che hanno inasprito la già critica situazione del “Digital Divide“.

Con Digital Divide (Divario Digitale in italiano) intendiamo il dislivello che sussiste tra chi ha le possibilità effettive di accedere alle tecnologie, e quindi a Internet, e chi invece, per scelta o meno, non dispone di tali possibilità. In un mondo come il nostro, dove Internet è diventato parte integrante della vita quotidiana di molti, si da per scontato che questo potere sia in possesso di tutti, ma non è così. Anche nei paesi più sviluppati (compreso il nostro) si registrano tassi consistenti di questo fenomeno.

Secondo le più recenti stime dell’Ocse,

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in Italia ben 10 milioni di persone non hanno accesso a Internet, il 26% della popolazione non ha mai navigato nel web e il 25% delle famiglie non dispone di una rete a casa. Vi è inoltre un forte squilibrio tra Nord (dove a utilizzare Internet è il 72,3% della popolazione) e Sud (dove si collega a Internet solo il 62,2%).

Il fenomeno di Digital Divide può essere causato da varie problematiche, tra cui le più rilevanti sono sicuramente la carenza infrastrutturale (assenza di accesso alla rete) e la carenza culturale (assenza di conoscenza informatica). Negli ultimi mesi, in seguito all’epidemia di Covid-19, il problema è sicuramente accresciuto, in quanto l’accesso a Internet è diventato un presupposto fondamentale sia per proseguire il proprio lavoro anche in quarantena, sia per fruire del diritto all’istruzione.

Smart Working, i pro e i contro

Negli ultimi giorni si è sentito parlare addirittura di casi in cui lo smart working è stato statuito come “nuova normalità”: è avvenuto per la compagnia californiana di Twitter, la quale ha annunciato che estenderà il lavoro agile a tempo indefinito, anche una volta conclusa l’emergenza sanitaria, mentre le compagnie di Google e Facebook lo estenderanno fino a fine anno.

Qui in Italia, la situazione non sembra di certo migliore.

Sono milioni i lavoratori italiani che sono stati costretti a riversare sullo smart working in questo periodo e, seppur la quarantena sia ormai finita, per la maggior parte di loro questa modalità lavorativa persisterà ancora per mesi (o forse di più). I pro e i contro del lavoro agile sono diversi e molti aspetti hanno anche un rovescio della medaglia, ma cerchiamo di analizzare quelli più critici.

  1. Rischio di overworking: l’eliminazione dei viaggi di andata e ritorno verso l’ufficio può apparire come un grande giovamento a livello di stress e di risparmio (per gli spostamenti con i mezzi o con l’auto personale, oltre che per i pasti fuori casa), ma si rischia di incappare nell’overworking, ossia l’oberato di lavoro. Ci si ritrova a lavorare sempre, anche nelle ore che prima erano dedicate agli spostamenti casa-lavoro e alle pause pranzo/caffè, senza riuscire più a organizzare il proprio tempo in maniera equilibrata, scindendo la vita privata da quella lavorativa.
  2. L’impatto ambientale: è evidente è che si è ridotto l’intasamento di strade e mezzi pubblici, portando quindi a un minor inquinamento, ma è anche vero che lavorare da casa significa comunque consumare elettricità, tenere acceso il riscaldamento in inverno e l’aria condizionata in estate, e anche questo porta a conseguenze ambientali non indifferenti.
  3. Solitudine sociale: molti, soprattutto chi è alle prime armi con lo smart working, si sentono inevitabilmente soli ed abbandonati in una situazione del genere, vedendosi privati dell’elemento sociale di cui prima invece godevano. Abituati a condividere spazi e momenti con i colleghi, confrontandosi quotidianamente con loro, talvolta anche operando in team work, e instaurando rapporti sociali non solo a livello lavorativo, alle persone è stato tolto un importante elemento di “umanità”.

La didattica alternativa nelle scuole

Anche la fascia di popolazione più giovane ha dovuto subire le conseguenze di questa pandemia e si è ritrovata costretta a proseguire i propri studi, dalle scuole elementari alle università, per via del tutto digitale, con quella che è stata chiamata “didattica alternativa”. Sicuramente si tratta di un’alternativa, ma possiamo sostenere che sia davvero funzionale?

Innanzitutto, si è dato per scontato che ogni studente italiano possa disporre di un dispositivo per accedere a Internet per partecipare alle lezioni e sostenere verifiche ed esami. Ma, sempre stando alle statistiche dell’Ocse, è evidente come questa prerogativa non rispecchi la realtà: ben il 12% dei ragazzi italiani, tra i 12 e i 17 anni, non possiede un computer o un tablet a casa e 1 studente su 4 non dispone di una connessione internet “adeguata” per seguire il carico di studio imposto.

In secondo luogo anche in questo caso, con questa digitalizzazione dell’istruzione, che vede i ragazzi chiusi da soli nelle proprie camere con la sola compagnia di uno schermo, viene a mancare tutto l’aspetto sociale e umano di cui prima si poteva giovare e che rendeva anche più piacevole la vita scolastica.

L’importanza della partecipazione di gruppo e dell’interazione sociale tra compagni è sparita, senza contare della privazione della centralità della figura del docente, che non può più presenziare “ad personam” ma deve trasmettere il proprio sapere solo attraverso un monitor, spesso rischiando di rendere anche meno interessante l’apprendimento da parte degli studenti che, soprattutto in certe età, hanno costante bisogno di stimoli e incentivi.

Dunque, con la speranza che questa emergenza sanitaria si concluda positivamente per il bene fisico di tutti, ci auguriamo anche che queste modalità di lavoro e studio trovino presto una fine, questa volta per il bene mentale di tutti.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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