Un episodio inquietante ha colpito il cuore storico di Torino. Un accadimento che dovrebbe portare ad un seria riflessione sulle oscene derive di un modello di business acefalo e della complicità di una sinistra che ormai ha abbandonato anche la cultura.
Succede che a Torino, a pochi passi da Via Po, da Piazza Vittorio e dalla Chiesa della Gran Madre in un luogo crocevia di storia e cultura, la storica libreria Comunardi sia costretta a chiudere la sua quarantennale attività.
Dal 1976 i cittadini torinesi

hanno infatti potuto godere della cultura offerta sotto forma di libri (circa 40.000 volumi) esposti e messi in vendita dalla libreria. Questo centro di cultura è stato infine cannibalizzato da un capitalismo senza cervello. I muri della libreria sono infatti di proprietà di una Holding, una di quelle società finanziarie che controllano una miriade di attività senza conoscerne il contenuto, ma con il solo scopo di fare profitto. Un simile approccio fa ovviamente a pugni con quella che è una pacifica realtà interessata a divulgare cultura piuttosto che a massimizzare le entrate.
Così la libreria chiuderà a settembre per lasciare spazio ad un supermercato Pam Local. Ecco che la grande distribuzione fagocita facilmente il piccolo locale storico.
Stupisce infine che un simile omicidio culturale
avvenga indisturbato nella “rossa” Torino, ormai così denominata evidentemente per abitudine, più che per una reale coscienza di classe della cittadinanza. In effetti che Torino da rossa fosse diventata fucsia lo si era già capito dal trattamento riservato alla storica residenza di Antonio Gramsci, trasformato impunemente in un lussuosissimo albergo a 5 stelle con tanto di sauna e percorso benessere. Il che equivarrebbe a trasformare il mausoleo di Lenin in un Luna park con tanto di selfie con la salma.
Dopo aver tradito e abbandonato i lavoratori, ora la sinistra volta le spalle anche alla cultura.