Le dinamiche dell’operazione di salvataggio della Mare Jonio, dimostrano ancora una volta come quella delle ONG sia solo una crociata ideologica. Tutt’altro rispetto alla tanto sbandierata vocazione umanitaria.
Cerchiamo di riepilogare la sceneggiatura dell’ennesimo remake di un film già reinterpretato in tutte le salse possibili. La nave di una organizzazione non governativa soccorre 49 (aspiranti) migranti, i quali si trovano a bordo di un’imbarcazione in condizione di avaria e non in preda ad un naufragio, come era stato invece riferito nelle prime ore; per carità, non che il malfunzionamento di un motore nel bel mezzo del grande blu rappresenti una situazione allettante, ma le possibilità di comprendere al meglio le storture di questo evento sono sempre più
alte, tanto più la cronaca dei fatti è fedele alla loro reale dinamica.
Il tutto avviene nella zona SAR libica, ovvero quella porzione di mare antistante alle acque territoriali, nella quale le autorità dello stato di competenza – nella fattispecie quelle di Tripoli – devono assicurare monitoraggio costante ed eventuale assistenza. Senza dimenticare un particolare non del tutto irrilevante: la richiesta della guardia costiera locale di non operare alcun soccorso, poiché una loro imbarcazione si trova ad una distanza sufficientemente breve (meno di 5 miglia) per prestare assistenza in tempo utile, nonché in assoluta sicurezza. Richiesta che, inutile esplicitarlo, viene impudentemente ignorata dalla ONG italiana.
Se a tutto questo corposo antefatto aggiungiamo che, nonostante l’approdo naturale più vicino e quindi più sicuro sia rappresentato dalla Tunisia (paese aderente alla Convenzione di Ginevra, a differenza della Libia), la nave Mare Jonio decide di puntare dritto verso Lampedusa e ignorare anche l’esistenza di Malta, il quesito sorge legittimo: dove sarebbe la vocazione umanitaria? A quale persona precipuamente interessata al salvataggio e alla messa in sicurezza dei naufraghi – o di passeggeri in condizioni di pericolo – verrebbe mai in mente di trascurare tutti i porti a poche miglia di distanza, per fare rotta su una meta che comporta più ore di viaggio in mare aperto, più rischi e più stress per soggetti evidentemente già provati?
La risposta è lampante e traccia un profilo preciso. Quello di persone che hanno bisogno di migranti quale materia prima necessaria per una precisa battaglia politica, persone che hanno bisogno di migranti da utilizzare come palle da cannone per alimentare nuovamente la polemica sul diniego di accoglienza, dopo i precedenti della Diciotti e della Sea Watch. Persone che, tutto sommato, rappresentano l’altra faccia della medaglia della linea salviniana: da una parte c’è chi si serve dell’emergenza migratoria per un tornaconto elettorale, dall’altra chi per soddisfare il proprio fanatismo ideologico. Una strumentalizzazione uguale e contraria in fin dei conti, che nulla ha a che fare con i principi di umanità, generosità e misericordia propinati quotidianamente dalla retorica progressista. Tutte nozioni da tenere a mente durante il prossimo remake, nel quale Mentana marchierà come “cattivista” chiunque osi mettere in dubbio la vocazione di questi talebani travestiti da benefattori.