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L’abolizione dei vitalizi è solo propaganda, come la politica attuale del resto

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La democrazia costa

di Paolo Desogus

Nessuna stima per chi sta facendo della battaglia per l’abolizione dei vitalizi una questione capitale. Si prova anzi una certa ripulsa, direi una distanza antropologica verso chi porta avanti questo genere di pseudo lotte. Da anni la politica è sotto assedio da una propaganda miserabile e meschina che, in nome dell’opposizione alla “casta”, promuove provvedimenti disastrosi e antidemocratici che non riesco più a tollerare e che considero un male.

Tutto è iniziato da un libro pubblicato da due giornalisti del Corriere della Sera,

quotidiano liberale conservatore, i cui editori campano proprio del decadimento politico italiano. Con La casta Rizzo e stella hanno dato il via a un’opera di demolizione della cosa pubblica favorendo una gretta ideologia sposata da Beppe Grillo e da un giornalista sopravvalutato della destra qualunquista ovvero Marco Travaglio.

A partire da questa ondata antipolitica sono stati prima tagliati i fondi pubblici ai quotidiani.

E il risultato è stato quello di avere una stampa ancora più asservita e ridimensionata che in passato. L’idea degli analfabeti politici che hanno promosso questo provvedimento (PD su ispirazione grillina) era che l’informazione dovesse essere gestita dal mercato. Il paese è stato accontentato. 

Poi è stata la volta dei tagli al finanziamento pubblico ai partiti.

E in pochissimo tempo la già malandata politica nostrana è peggiorata ancora di più regalandoci fenomeni come Renzi, forte in virtù dei finanziatori privati del suo partito. Anche in questo caso il provvedimento è stato votato dal PD su ispirazione dei 5 stelle: bella coppia. Avrebbero potuto chiedere una politica finanziata solo dal pubblico per liberare i partiti dai condizionamenti del privato e dai ricatti del mercato. Loro hanno fatto esattamente il contrario.

Ora è la volta dei vitalizi, termine del tutto fasullo che serve per screditare chi ne beneficia e trasformarlo in fannullone.

Per carità, nessuno crede che gli stipendi dei parlamentari così come le pensioni riflettano il “giusto compenso”. E del resto non è nemmeno chiaro quale sia il giusto compenso per il mestiere del politico. Le ragioni degli stipendi e delle pensioni sono dovute alla scelta pragmatica di rendere il parlamentare autonomo da influenze esterne. La stessa pensione svolgeva questa funzione e il tentativo di abolirla non fa altro che produrre il risultato che il politico di turno si serva della politica per avere un futuro e iniziare a partecipare a quel sottobosco fatto di strapuntini in consigli di amministrazione e fondazioni con i quali l’establishment attuale si compra il parlamentare in vista della sua scadenza di mandato. Bildelberg, di cui tanti idioti si riempiono la bocca, serve anche a questo.

Poi certo, gli stipendi sono alti, nessuno lo nega. Ma quanto costa una politica asservita?

Quanto costa una democrazia debole? Quanto ci sta costando aver demolito il sistema dei partiti? E non avere più quotidiani decenti? Quanto ci costa la ricattabiltà del PD? O l’inadeguatezza politica dei parlamentari 5 stelle? Ma c’è dell’altro, se si vogliono combattere le ingiustizie, perché non si lotta contro gli stipendi stellari dei grandi capitani dell’impresa privata?

Nel 2018 Marchionne ha intascato all’incirca 70 volte lo stipendio di un parlamentare.

E non ha certo prestato servizio al paese, ma solo alla sua azienda che ha ben pensato di trasferirsi in Olanda. Queste sono le ingiustizie.

La democrazia costa, costa parecchio: avremmo bisogno di partiti strutturati, capaci di essere scuole per la gestione della cosa pubblica. E avremmo bisogno di una stampa il più possibile libera dagli editori e dai pubblicitari. Ci muoviamo però nella direzione opposta. Ma non si può certo aspettarsi che gli analfabeti politici lo capiscano.

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