In molte città del mondo arabo persone hanno manifestato la propria solidarietà per il popolo palestinese, nel momento di maggiore debolezza e incertezza per il loro futuro.
A Tunisi, ma anche ad Algeri, al Cairo, a Rabat e ad Amman molte persone si sono fatte sentire in piazza, esprimendo la loro vicinanza ai “fratelli palestinesi”, così li chiamano. Bandiere sventolanti della Palestina, ma anche della Siria e dell’Iraq. Segno che nell’immaginario collettivo arabo questi Stati hanno avuto un comune destino beffardo.
La narrazione di parte del conflitto tra Israele e Palestina
La scelta degli Stati Uniti, già programmata sotto la presidenza Clinton, di spostare l’Ambasciata americana a Gerusalemme, continua a lasciare ripercussioni sul campo. Venerdì notte altri quattro palestinesi sono stati uccisi sul confine tra la Striscia di Gaza e il territorio israeliano. Anche in questo caso la narrativa è stata polarizzata.
Da una parte i filo palestinesi hanno parlato di manifestazione pacifica cui l’esercito israeliano avrebbe risposto con il fuoco. Dall’altra parte i filo israeliani hanno raccontato di una manifestazione violenta capeggiata da terroristi di Hamas, mentre la risposta israeliana è stata sempre e solo legittima difesa. In realtà parteggiare è l’ultima cosa da fare in un conflitto che dura da oltre un cinquantennio e che ha lasciato sul campo oggettivamente molte vittime da una parte, palestinese, e un po’ meno dall’altra, israeliana.
Una differenza dovuta all’enorme disparità di mezzi e tecnologie tra le due parti. E partendo da questo dato l’unica constatazione che può essere fatta, in un conflitto che esigerebbe più imparzialità da parte degli osservatori, è che Israele sta vincendo tutto il piatto. Non solo infatti il territorio palestinese, già diviso in due, si sta progressivamente riducendo al ritmo di esponenziali insediamenti israeliani in Cisgiordania. La popolazione di Gaza è anche allo stremo, vittima di un durissimo embargo che sta lentamente facendo soccombere Hamas.
Dal 1989 il collasso dei difensori della causa palestinese
Tuttavia il fattore decisivo di quella che sembra a tutti gli effetti l’operazione per la vittoria finale, è stato l’annichilimento progressivo di tutte le minacce esterne a Israele. Dal 1989 in poi, infatti, crollato l’equilibrio bipolare, Israele ha potuto beneficiare di un’aggressiva politica estera americana che, guarda caso, ha colpito uno dopo l’altro tutti gli Stati minacciosi per Tel Aviv.
Come nel più classico romanzo thriller dove lentamente vengono uccisi quasi tutti i personaggi, sono crollati gli Stati arabi più forti sotto i colpi di invasioni militari, sanzioni e rivolte interne.
Fuori dai giochi Saddam Hussein e il Mullah Omar
Nel 1991 fu il turno dell’Iraq di Saddam Hussein. La coalizione a guida americana fece scattare la Prima Guerra del Golfo contro il rais che più volte si era auto proclamato difensore della causa palestinese. Non a caso l’Iraq reagì all’attacco occidentale lanciando decine di missili sul territorio israeliano. La guerra fu vinta dagli americani, ma Saddam venne lasciato al potere. Una destituzione solo rimandata, mentre nel frattempo il pacchetto più devastante di sanzioni economiche mai viste venne imposto dalla comunità occidentale sull’Iraq.
“500.000 bambini iracheni morti a causa delle sanzioni”,
così diceva l’UNDP.
Una nuova generazione distrutta e un paese solo in attesa del colpo di grazia. Poi ci fu il turno dell’Afghanistan. Anche il quel caso il Governo islamico del Mullah Omar, vicino alla causa palestinese, che stava portando un minimo di stabilità nel Paese, subì l’attacco militare occidentale. Un’altra potenziale minaccia a Israele distrutta. In seguito ci fu il colpo di grazia al Governo iracheno di Saddam Hussein, con la sua esecuzione capitale, giusto per essere sicuri che il rais non potesse più rappresentare un problema per nessuno. Iraq al collasso e un’altra pedina nemica di Tel Aviv fuori dai giochi.
Le Primavere arabe come migliore assist per la causa israeliana
Poi venne la grande stagione delle “Primavere arabe” e lì Israele è riuscita a vincere quasi tutto il jackpot. In un colpo solo Tel Aviv ha visto cadere Mubarak, Ben Alì, ma soprattutto Gheddafi. Il Colonnello si era sempre esposto in prima linea per la causa palestinese e la coesione del mondo arabo in generale. Fuori lui, Libia al collasso e Egitto e Tunisia che entrano in una turbolenta fase di transizione incompiuta verso la democrazia. Il modo migliore per concentrarsi negli affari interni e non pensare troppo alla politica estera e alla causa dei “fratelli palestinesi”.
Israele però voleva tutto il piatto, e sul banco c’era anche Bashar al Assad. Un altro fastidioso paladino della causa palestinese. Assad è sopravvissuto, per ora, ma la Siria è uno stato frammentato e in rovina che avrà bisogno di almeno un ventennio per riprendersi. Un periodo in cui sicuramente l’attenzione del Governo siriano non potrà essere rivolta alla Palestina.
L’Iran, l’ultimo sopravvissuto di un romanzo thriller
Infine arriviamo all’ultimo grande sopravvissuto di questa storia. l’Iran. Con gli ayatollah di Teheran si chiude il cerchio dei sostenitori della Palestina. Israele non ha mai nascosto la volontà di un attacco militare congiunto con l’Occidente per spazzare via l’ultima “minaccia alla sicurezza israeliana”. Sembra però che la tenaglia sull’Iran si chiuderà più sullo stile libico-siriano, piuttosto che con una effettiva invasione. L’ultimo pacchetto di sanzioni americane che partiranno da novembre, chiamate “sanzioni secondarie”, sono di quelle che lasciano l’economia senza scampo.
Saranno infatti punite le aziende terze che operano in Iran. E quindi quelle europee, quelle russe e quelle asiatiche. In sostanza non converrà più a nessuno fare affari in Iran. E il risultato di questo saccheggio è già visibile con le manifestazioni che stanno agitando tutto il Paese. La crisi economica iraniana già risultato delle attuali sanzioni, non potrà che peggiorare e porterà inevitabilmente al caos sociale. Fuori dai giochi l’Iran, Israele non avrà più alcuna minaccia esterna che gli impedisca di perseguire la politica espansionistica ai danni della Palestina. La storia del Medio Oriente si sta dirigendo con forza verso il suo atto finale.
di Gabriele Tebaldi