Dopo centinaia di articoli, servizi, post ed analisi è impossibile esimersi da un commento sull’incresciosa vicenda della maestra d’asilo del torinese, licenziata in seguito alla divulgazione di un video erotico amatoriale.
L’obiettivo non è certo quello di fare i bastian contrari ad ogni piè sospinto, tuttavia la reazione media scaturita dalla notizia è davvero emblematica. Quello a cui stiamo assistendo da giorni è una dimostrazione plastica dei limiti – e della pericolosità – insita nei principali contenuti veicolati dalla retorica progressista e da tutte le sottoculture annesse (neofemminismo, costruttivismo ecc.).
Sono due giorni che non si sente altro, se non esegesi inerenti deficit culturali e svilimento della figura femminile; così come accorati appelli alla libertà sessuale ed alla sacralità della dimensione intima. Tutte istanze legittime e più che condivisibili, non fraintendiamoci, ma che hanno inspiegabilmente offuscato un quesito sull’aspetto più indecente dell’intera faccenda: come è possibile che un atto della sfera privata possa rappresentare una causa di licenziamento?
Ecco, questo sviluppo non sembra affatto casuale. Anzi, è parte integrante della dottrina dirittocivilista post-sessantottina (ad oggi culturalmente dominante) l’attribuzione di una assoluta centralità al tema delle libertà individuali, con la conseguente marginalizzazione dal dibattito politico-mediatico dei diritti sociali, rappresentati in primis proprio dal diritto al lavoro. Un preoccupante stravolgimento delle priorità del cittadino, che ha prodotto conseguenze nefaste.
Ritornando alla fattispecie in esame, c’è da augurarsi solo che l’impugnazione del provvedimento venga accolta ed il licenziamento revocato; altrimenti, diventa complicato immaginare come la sventurata educatrice possa trovare un altro impiego nel medio periodo. Uno scenario tragico, tenuto presente che il lavoro resta la prima ed insostituibile fonte di emancipazione, di indipendenza e soprattutto di sussistenza.
Quando questa povera disgraziata avrà di nuovo la certezza di poter portare il pane in tavola, chi vorrà, sarà libero di rivendicare il diritto di chiunque a godere dell’intimità più promiscua e torbida possibile, senza che ciò arrechi alcun pregiudizio alle sue relazioni sociali. Solo allora, non prima.