L’odierna cancel culture non è altro che la ripetizione di un fenomeno già ammirato nel corso dei secoli: la soppressione forzata di un determinato retaggio – in nome di un’autodichiarata superiorità morale – e la sua sostituzione con un canone imposto dall’alto.
di Andrea Zhok
Sulla pagina di un amico, che poi ha ritenuto di cancellarlo, è comparso un post in cui si sosteneva che “non esiste nessuna cancel culture e questo per la banale ragione che ogni cultura nasce e si propaga cancellando qualcosa di sé e del proprio passato e del passato delle culture concorrenti.”
Riprendo brevemente il punto che ho cercato di tenere in quella breve discussione, perché a mio avviso, volontariamente o inavvertitamente che sia, quella linea argomentativa finisce per alimentare le posizioni, piuttosto diffuse a sinistra, di quelli che ritengono il ‘politicamente corretto’ un problema marginale, o senz’altro inesistente.
Ora, dire che non esiste nessuna cancel culture perché tutte le culture ‘dimenticano’, o abbandonano, alcuni tratti nella loro evoluzione è a mio avviso un errore teorico, e, magari involontariamente, è anche un modo per oscurare e confondere un fenomeno con caratteristiche ben determinate.
La “rivoluzione culturale” cinese era una forma di cancel culture, che mirava a forzare l’obliterazione di forme culturali che da sole non se ne sarebbero affatto andate. Essa è tutt’oggi ricordata in Cina come un momento particolarmente oscuro della propria storia, in cui sono andati perduti patrimoni millenari nel nome di una modernizzazione orecchiata, importata dall’Occidente.
L’odierna cancel culture compare in un contesto nuovo, democratico, e proprio perciò è ancora più insidiosa, perché se da un lato non ha già il potere en bloc dalla sua parte, dall’altro può trasformarsi in egemonia culturale e comportamentale in forme più durature e radicate.
Questa possibilità è aperta perché nel contesto contemporaneo l’egemonia viene forgiata attraverso supporti laterali, lobbismo tacito, cancelli che si aprono per alcuni e si chiudono per altri, senza i clamori drammatici che alle dittature piacciono tanto, e che le rendono così facili oggetti d’odio.
Tutt’altro. Essa presume di dover sopprimere esplicitamente manifestazioni, espressioni, parole, concetti, immagini nel nome della propria autodichiarata superiore moralità. In Italia la ‘cancel culture’ non ha ancora fatto un ingresso particolarmente significativo, e c’è da aspettarsi che in un paese con un passato e una storia, malgré soi, così imponente, le resistenze ci saranno.
Il neobigottismo (e la ‘cancel culture’) esistono, sono tra noi, e crescono di dimensioni e impatto da tempo. Essi fioriscono negli interstizi del conformismo connaturato alle élite, dove il gioco non è cambiato molto dal tempo dei cortigiani.
Ingraziarsi il potere in forme sottili e manierate, dedicandosi alle cose cui il potere vuole che ci si occupi, manifestando disprezzo verso ciò che ‘si sa’ essere disprezzabile, scivolando di opportunismo in opportunismo in attesa di una prebenda, una medaglia, un’onorificenza.