Il nuovo successo dei reality: distruggere la cultura culinaria del paese gastronomicamente più erudito al mondo.
La polemica innescata dalla pizza-moncherino postata da Cracco, non è altro se non l’ennesimo strumento finalizzato ad innalzare vertiginosamente il coefficiente di vacuità dei nostri dibattiti quotidiani. Una sorta di ritorno alle origini, alla nostra essenza pre-elettorale, alla genuinità dei nostri spiriti contemporanei dormienti e disinteressati. Dopo una breve pausa provocata dal puro istinto competitivo e dalla necessità di dimostrare (agli altri e non a noi stessi) il nostro interesse per le sorti del paese, la nostra consapevolezza, la nostra maturità ed il nostro disappunto “democratico” verso gli analfabeti funzionali che si permettono di non votare come le persone responsabili ed istruite, possiamo finalmente tornare ad essere noi stessi.
In sostanza, quella pizza a forma di arto mutilato rappresenta il rutto sprigionato dall’uomo qualunque, non appena la bella ragazza sulla quale si vuole fare colpo o l’assessore dal quale si vuole ottenere un appalto abbia momentaneamente abbandonato la tavola.
L’essenza dei reality show
Eppure, nella sua totale assenza di sostanza, questa polemica fornisce l’occasione per un’interessante riflessione sociologica e per un bilancio su quella piaga putrescente e deforme (come la pizza di Cracco) rappresentata dai reality show. Una forma di intrattenimento che non si è solamente limitata a ridurre l’interesse per noi stessi, aumentare in maniera inversamente proporzionale quello per l’intimità altrui, perdere di vista il pudore per la dimensione privata, esibire le debolezze con fare circense ed esaltare la mediocrità in senso assoluto. No, ora rischia anche di svilire ed infettare uno dei pochi veri collanti che uniscono questa nazione frastagliata dal Brennero a Lampedusa: i costumi culinari.
Cultura culinaria, più che buona cucina
Quando gli italiani ostentano con smisurata vanagloria la superiorità della loro cucina, o quando all’estero si asserisce che “in Italia si mangia meglio”, non si fa riferimento né ai ristoranti stellati, né ai locali ben pubblicizzati da una voragine di palle su TripAdvisor: nell’epoca della globalizzazione e dell’omologazione selvaggia, quelli si possono trovare ovunque. No, con questa nozione generica, che probabilmente rappresenta il luogo comune più attendibile del pianeta, si è sempre voluto indicare la cultura culinaria media del popolo italiano. Ovvero, il fatto che anche il personaggio più insipiente in materia gastronomica riesca a sfornare delle produzioni basilari senza fare la figura dell’elefante in gioielleria, il fatto che pretese e standard per giudicare la qualità di un pasto siano mediamente più elevate e soprattutto, il fatto che si possa mangiare in maniera soddisfacente e gratificante anche nel più osceno tugurio abiurato dall’Onnipotente e scomunicato dalla Santa Sede.
La nuova accezione di “gourmet”
Tutto questo ora rischia l’estinzione, alla stregua di un orso polare o di una tigre del Bengala, a causa di una particolare declinazione dei reality show. Da qualche anno a questa parte, il prepotente ingresso del mondo della cucina e della ristorazione nei palinsesti televisivi, supportato dalla venerazione acritica per tutto ciò che viene presentato come à la page, ha infettato come un virus i suddetti costumi culinari. E l’infezione più grave è stata quella rappresentata dal nuovo culto mistico per il gourmet. O, se non altro, per la nuova accezione di gourmet.
Per quanto concerne sia la categoria degli chef, sia quella della clientela, non si riscontra più la ricerca della buona cucina tout court o della qualità, bensì una bramosia spasmodica e patologica verso tutto ciò che è rivisitato, personalizzato, riformato, ammodernato, coreografico, eccentrico e fuori dagli schemi. Roberto Perrone, senza giri di parole troppo arzigogolati, ci ricorda che
gourmet non è inventarsi cose strane, è fare la pizza bene e con ingredienti di prima qualità…Non è schifare il tradizionale, ma rimpolparlo con materie prime di pregio. Non il prosciutto crudo sgrauso o il cotto gonfiato con la pompetta, non il carciofo unto e bisunto o le olive nella plastica. Gourmet vuol dire alta qualità.
McDonald, pesce surgelato e pizze oscene: ecco le nuove divinità
Per la deriva kitsch della nostra cultura culinaria dobbiamo ringraziare innanzitutto il delirio di onnipotenza di queste sedicenti star, le quali, con fare molto hollywoodiano, hanno anteposto la propria sete di successo ed il feticismo per la notorietà al campo professionale (ed artistico) di cui dovrebbero essere i primi tutori. Ma non solo. Un plauso va riservato anche alla massa di zombie da tubo catodico, che ormai assimilano dogmaticamente il verbo e le teorie di qualsiasi ciarlatano, a patto che sia presentato come celebrità. Se poi la celebrità conduce anche un reality, non ne parliamo.
Sono stati tutti così folgorati, da non accorgersi dei comportamenti antitetici al buon gusto ed al rispetto per la buona cucina, tenuti dai loro nuovi beniamini, ormai elevati al rango di nuove divinità della tavola. Così, i vip che insegnano alla nazione gastronomicamente più erudita al mondo come riscrivere l’accezione di gourmet, sono gli stessi che prestano il loro volto per gli spot di McDonald, che presentano il pesce surgelato come fresco nei menù dei loro lussuosissimi bistrot e che “rivisitano” la pizza con la mozzarella cruda, l’impasto di cereali integrali ed una passata così densa da risultare ignominiosa alla sola vista.
Questo è il gourmet che vi meritate
Saremmo ancora in tempo per risalire in sella e preservare il vero patrimonio culinario italiano: la qualità di quella cucina artigianale, casereccia e senza fronzoli tipica di osterie, trattorie e locande. Il problema è che anche queste ultime dovranno sopravvivere ed adattarsi. Ergo, anche osterie trattorie e locande, arriveranno prima o poi a non servirvi più quei piatti carichi di bontà e privi di orpelli coreografici (che tanto vi facevano godere), ma vi porteranno un assaggino striminzito di carne cruda, facendovi attendere quella mezz’ora necessaria ad effigiare sul bordo del piatto una riproduzione in miniatura del Cristo Redentore con l’aceto balsamico. E a quel punto, anziché incazzarvi comprensibilmente, vi confermerete così inetti da piazzare il massimo dei punti su ogni sito di recensioni immaginabile, in quanto vi ricorderà l’audacia artistica dei vostri eroi contemporanei. Questa è la nuova accezione di gourmet, perché questo è il gourmet che vi meritate.
Filippo Klement