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Quella maledetta quota Inps da accantonare

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L’assurdità di un paese dove sei condannato a pagare indipendentemente dall’entità dei tuoi guadagni.

Chi avesse la sfortuna o, meglio, la tragedia di dover aprire una partita IVA, vuoi perché ha superato il fatidico limite dei 5.500 euro, vuoi perché l’azienda per cui presta lavoro come libero professionista lo obbliga ad aprirla minacciandolo in alternativa di lasciarlo a casa, deve fare da subito i conti con quella maledetta sigla che si chiama al secolo Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

E sì perché, indipendentemente dall’entità dei guadagni che il caso o la sorte deciderà di assegnarti, sarai condannato a versare all’erario dell’INPS una quota minima di almeno duecento e passa euro al mese. Una specie di mannaia questa che nella maggior parte dei casi deciderà in modo assolutamente infausto la sorte della tua novella attività.

Siamo all’assurdo e mentre in Italia discutiamo sulle sentenze contro Berlusconi, non ci rendiamo conto delle Ingiustizie con la I maiuscola a cui siamo sottoposti nostro malgrado. Ora ammettiamo che un lavoratore autonomo inizi pieno di speranze la sua nuova attività e, data la grave crisi congiunturale che attraversiamo, i suoi guadagni non superino i mille euro al mese, in molti casi anche meno, visto il livello pietoso delle provvigioni che le aziende si degnano di offrire, qualcuno mi deve spiegare allora in base a quale miracolo o risorsa sovrannaturale potrà questo sfortunato riuscire ad accantonare la sontuosissima cifra di duecento e fischia euro che l’INPS spietatamente gli richiede?

Una richiesta questa che non tiene minimamente conto dei guadagni effettivi, spesso al limite della sopravvivenza, di cui molti liberi professionisti, soprattutto nel campo del settore commerciale, si devono accontentare. Ci domandiamo per quale motivo l’INPS non possa essere sempre calcolata in base ad una percentuale crescente o decrescente proporzionata a seconda dell’entità dei guadagni effettivi e non in base ad una anacronistica quanto fasulla analisi presuntiva dei cosiddetti studi di settore. Studi che evidentemente sono fermi all’età dell’oro ovvero al boom economico degli anni sessanta o al limite degli anni ottanta, quando in Italia si lavorava e si guadagnava. Se un povero diavolo porta a casa a mala pena novecento-mille euro al mese mi spiegate come fa ad accantonare per giunta obbligatoriamente la cifra di duecento euro da versare alle casse dell’INPS?! Cifra a cui si aggiungono pure le ritenute IRPEF? Queste sono le assurdità di un sistema che invece di aiutare chi è obbligato a sobbarcarsi un’attività da libero professionista perché non esiste uno straccio di azienda che sia più disposta a rischiare di pagare un euro come retribuzione, lo affossa definitivamente spingendolo nel baratro del fallimento.

La situazione attuale, arbitraria e ingiusta, è che, fino al limite ridicolo di 5.500 euro all’anno, le aziende, beninteso che lo vogliono, possono limitarsi ad effettuare la ritenuta d’acconto e quindi il lavoratore autonomo può ricevere il guadagno a titolo di prestazione saltuaria e occasionale, senza dover impiccarsi con una partita IVA. Superata questa ridicola soglia, lo stesso lavoratore dovrà rischiare di cadere nel vuoto perché, come abbiamo dimostrato, aprire una partita IVA oggi in Italia, equivale a giocare alla roulette russa con la propria pelle. Sembra assurdo che a nessun governo sia venuto in mente di alzare, vista la crisi attuale, il vecchio limite di 5.500 portandolo magari a 12.00, cosa che darebbe certamente un po’ di ossigeno a quei molti, moltissimi lavoratori autonomi il cui reddito non supera appunto i 12.00 euro all’anno. In questa situazione aprire in seguito una Partita IVA, avendo già un’attività avviata e un flusso di guadagno già in qualche modo sufficiente, non sarebbe più la scommessa mortale che si deve invece affrontare oggi. Poi in secondo luogo non sarebbe contrario al buon senso disancorare definitivamente l’INPS da una quota minima irrinunciabile come ora, ricodificandola in termini di percentuale progressiva in base ai guadagni effettivi e non di quelli stimati da “esperti” che si sono limitati a studiare teoricamente quello che invece avrebbero dovuto verificare uscendo dai loro asfittici uffici e vedendo come funzionano in verità le cose in Italia.

Comunque, intanto siamo obbligati a distrarci con le presunte “imprese sessuali” di Berlusconi, mentre, senza che ce ne accorgiamo, qualcuno con la leggerezza di una farfalla, ci sta posando sulla testa una mannaia ben affilata e pronta a cadere inesorabilmente sulle nostre ultime speranze. 

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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