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La minimizzazione dei gilet jaunes e la penosa strumentalizzazione di Megalizzi

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La narrazione europeista non conosce pudore, né vergogna: ma se la distorsione dei fatti è prassi consolidata, la morte di Megalizzi rappresenta un nuovo disarmante livello di scorrettezza.

 

Il fronte della manipolazione mediatica non conosce soste, né ferie natalizie. Nel percorso di avvicinamento verso le elezioni di Maggio, le quali potrebbero segnare il più grosso spartiacque politico nell’era dell’Europa unita, accrescono i timori e diminuiscono le certezze; ciò che si teme, è che stia calando per davvero il sipario su una classe dirigente e su un preciso modello politico-economico, ciò di cui non si è più certi invece, è che l’egemonia culturale stratificatasi negli ambienti mediatici possa bastare ad orientare le intenzioni di voto.

Per questi motivi, le testate che ormai da anni svolgono la funzione di avvocati difensori dell’europeismo radicale, stanno progressivamente alzando il tiro. Negli ultimi giorni, non si sono limitate alla consueta (seppur legittima) critica verso l’esecutivo, o all’altrettanto consueto (ma meno legittimo) ed ormai spudorato revisionismo dei fatti di cronaca. Purtroppo, è stato fatto registrare un passo in avanti nella metamorfosi deontologica e professionale del settore, utilizzando la morte di un giovane collega come nuova arma funzionale alla loro arringa propagandistica.

 

La critica legittima

Il premier Conte assieme al presidente della Commissione Europea Juncker

Per quanto una nutrita parte degli organi d’informazione covi un’ostilità aprioristica verso la maggioranza gialloverde ed il governo Conte (sbandierata sin dai primordi dell’attuale esecutivo), non v’è dubbio che i recenti risultati conseguiti da quest’ultimo ne impediscano una narrazione rosea. Il compromesso al ribasso sul rapporto deficit/PIL infatti, oltre ad aver creato malumori tra la base elettorale ed i vertici istituzionali, ha indubbiamente generato disagi tecnici tangibili.

Al ritardo nel dibattito parlamentare sulla legge di bilancio, rischia di corrispondere un conseguente ritardo nell’agenda delle riforme fiscali ed economiche: una fase di stallo che potrebbe incidere negativamente sui primi mesi del nuovo anno, facendo proseguire quel trend negativo iniziato con la crescita zero dell’ultimo trimestre. Impossibile pretendere che, dopo mesi di crociate perlopiù pretestuose e personali, una stampa così esplicitamente orientata si facesse scappare l’opportunità per un’analisi critica scientificamente fondata.

 

La minimizzazione dei gilet jaunes

Decisamente meno comprensibile, anche se tristemente consueto, è stato l’atteggiamento mostrato dall’apparato massmediatico verso il movimento dei gilet jaunes. Una lettura costantemente parziale -quando non del tutto artefatta- tesa a minimizzare il malcontento transalpino ed a sconfessarne la bontà dei propositi.

La tenacia dei manifestanti, i disagi causati all’ordine pubblico ed il frastuono mediatico dovuto alla reiterazione delle proteste hanno messo in ginocchio la popolarità di Macron: colui che la nostra stampa aveva benedetto come la nuova speranza europea contro il populismo. Una sconfitta simbolica, uno schiaffo troppo forte da attutire limitandosi alla semplice ed umile cronaca. Così, non potendo più difendere l’indifendibile regnante esautorato dalla folla, i difensori dell’ordine liberale armati di tastiera hanno optato per sminuire le istanze dei francesi.

 

Le omissioni del Sole 24 ore

Un momento di tensione durante le proteste dei gilet jaunes

Secondo il Sole 24 ore, il rischio complessivo di povertà nella repubblica d’oltralpe sarebbe inferiore rispetto ai paesi dell’eurozona (nonostante ammetta che coloro i quali arrivano alla fine del mese “solo con un po’ di difficoltà” siano superiori alla media), il welfare generoso, le retribuzioni relativamente alte ed i salari minimi pari a quelli tedeschi (peccato per la minore produttività). Inoltre, il 10% più povero della popolazione avrebbe perso terreno “solo marginalmente” nella detenzione del reddito nazionale, a fronte di un mancato incremento del 10% più ricco.

Al netto della stucchevole semantica stracolma di avverbi ed incisi volti ad addolcire il disagio economico dei francesi, il giornale di Confindustria omette due dettagli non indifferenti. Il primo concerne il lasso temporale dello stallo tra il 10% più ricco ed il 10% più povero; una dato certamente attendibile fino all’insediamento dell’amministrazione Macron, ma non oltre, tenuto presente che uno dei primi provvedimenti dell’attuale monsieur le president è stato il taglio all’imposta patrimoniale “sui ricchi”. Il secondo invece, dovrebbe essere un dato elementare per una fucina di luminari della macroeconomia: la Francia possiede un deficit tra esportazioni ed importazioni di circa 50 miliardi. Una condizione che ha costretto le imprese a ridurre considerevolmente stipendi e costi del lavoro per restare competitive, imponendoci di ridimensionare la rassicurazione sulle retribuzioni.

 

Il caso Megalizzi

Antonio Megalizzi

Come anticipato però, il livello di strumentalizzazione -per non dire mistificazione- della stampa liberal ha raggiunto nuove vette in occasione della tragica morte di Antonio Megalizzi. Un banchetto continuo sul cadavere ancora fresco del giovane reporter, utilizzato a più riprese come simbolo della resistenza europeista. “Ucciso da chi odia l’Europa”, “la politica non vede i ragazzi come Megalizzi”, “realizzeremo il suo sogno europeista”, sono solo alcuni dei titoli ripugnanti campeggiati sui quotidiani più autorevoli; per non parlare della campagna di adesioni in favore della sua stazione radiofonica, da trasformare in un baluardo contro gli euroscettici.

Megalizzi è stato, innanzitutto, vittima di una disgrazia immane che lo ha portato via troppo presto e come tale andrebbe ricordato. Indipendentemente dalle sue convinzioni o dal suo retroterra culturale. Dopodiché, se bisogna spendere una riflessione sulle cause di questa sciagura, nessuna delle sfortunate vittime di Strasburgo è stata freddata da chi odia l’Europa intesa come UE; tutt’al più, da chi odia l’Europa intesa come insieme di tradizioni, costumi e culture secolari, inconciliabili con un fondamentalismo religioso violento ed intollerante. Un fondamentalismo di cui l’Unione Europea non è certamente vittima. Un fondamentalismo con cui, al massimo, vige un rapporto di criminale complicità: quello che parte dallo sconsiderato appoggio verso le politiche di destabilizzazione in Medioriente e prosegue con l’impenitente campagna di indebolimento delle frontiere.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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