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Le motivazioni della guerra preventiva – e rischiosa – di Putin

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La strada scelta da Putin di una “guerra preventiva” presenta certamente qualche rischio per la Russia e per la stessa leadership di Putin. Tuttavia per l’Europa si tratta di un evento potenzialmente devastante nel lungo periodo.

di Andrea Zhok

Dal quadro che si è profilato nei mesi scorsi escono pienamente soddisfatti soltanto gli USA, che sono riusciti ad ottenere precisamente l’obiettivo cui miravano, ovvero di staccare Russia ed Europa e di aumentare ulteriormente la dipendenza europea dagli USA.

L’azione di Putin è rischiosa per la Russia solo nella misura in cui in Ucraina si trovi di fronte ad una diffusa resistenza popolare su modello afghano, che lo costringa a rimanere impantanato nel lungo periodo.

La sua scommessa sembra essere che ciò non accadrà perché in verità una parte degli ucraini anche al di là delle province russofone sarebbe almeno altrettanto ostile al governo in carica rispetto a quanto lo siano verso il governo russo.

E si capisce ora meglio l’insistenza di Putin nel discorso di 3 giorni fa sul peggioramento della situazione in Ucraina e la corruzione locale, dopo l’estromissione di Yanukovich nel 2013-4: preparava l’opinione pubblica ucraina alla possibilità di un cambio di regime. Le ragioni della mossa di Putin credo siano legate alla percezione di aver comunque oramai perso la possibilità di legare a sé l’Europa nel lungo periodo.

Probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il congelamento del North-Stream 2 annunciato 3 giorni fa da Olaf Scholz. Ricordiamo che il gasdotto è già completato e solo in attesa di autorizzazione.

La Merkel aveva garantito Putin che il progetto del gasdotto sarebbe rimasto al di fuori di contese politiche. Ma martedì scorso, in un interessante siparietto, il presidente Biden aveva dichiarato senza mezzi termini che il North-Stream 2 sarebbe stato chiuso. (In precedenza aveva detto che avrebbe chiesto di chiuderlo in caso di invasione dell’Ucraina).

E alla domanda di una giornalista su come poteva dirlo, visto che si trattava di una decisione tedesca, Biden ha risposto di stare tranquilli che avverrà comunque, mostrando di avere in pugno le decisioni tedesche. Il ragionamento di Putin plausibilmente dev’esser stato più o meno il seguente:

“Qualunque cosa facciamo, comunque le sanzioni, anche le più dure, partiranno, l’Europa è totalmente succube degli USA, e dunque diplomaticamente la partita è senza sbocchi (non ci saranno le richieste dichiarazioni scritte di una neutralità anche futura dell’Ucraina rispetto al progetto NATO). Tanto vale perciò provare a risolvere una volta per tutte la spina nel fianco del governo nazionalista ucraino.”

Ovviamente è molto difficile in Europa comprendere le decisioni russe perché le versioni totalmente unilaterali degli eventi cui siamo adusi (su questo come su altri eventi), rendono la realtà (qui il comportamento di Putin) incomprensibile e irrazionale.

Ma l’uomo è cinico, forse spietato, ma finora non si è mai dimostrato irrazionale e il suo calcolo è rivolto ad un fine ben definito, ovvero la tutela e prosperità del proprio paese. Che il calcolo sia sbagliato è tutto da dimostrare.

E’ chiaro che se si dipinge l’Ucraina come un paese libero, democratico, pacifico, in cui alcuni anni fa una gaia rivoluzione di popolo aveva cacciato un tiranno, le vicissitudini attuali non possono che sembrare un fulmine a ciel sereno. Purtroppo le medesime circostanze possono essere descritte, e sono descritte in altri paesi non occidentali, in termini radicalmente diversi.

La cacciata di Yanukovich, all’indomani del suo rifiuto di proseguire le pratiche di annessione all’UE (2013), è stata vissuta non come una gaia rivoluzione, ma come un colpo di stato, promosso con sobillamenti e finanziamenti esteri, che ha estromesso un presidente liberamente eletto nel 2010.

Il governo ucraino è visto come un governo nazionalista, con ampio spazio di manovra concesso a gruppi neonazisti, che ha sottoscritto gli accordi di Minsk che ratificavano lo statuto speciale per le province russofone, salvo poi rifiutarsi di ratificarlo in parlamento.

E la vita pacifica interrotta bruscamente dall’aggressione russa può essere più precisamente ridescritta come una situazione di guerra discontinua in corso da 8 anni, che ha già fatto più di 13.000 morti e un milione e mezzo di profughi.

Senza pretendere di stabilire torti e ragioni, e tenendo fermo che tutte le “guerre preventive” sono atti di imperialismo, forse rendersi conto che di volta in volta le controparti non sono necessariamente dei pazzi irrazionali, ma hanno delle ragioni comprensibili per le proprie azioni avrebbe potuto consentire una diplomazia più efficace.

E magari persino di evitare un conflitto che rischia di essere catastrofico specificamente per i paesi europei, spingendo sempre di più la Russia ad un’alleanza strutturale con la Cina, mentre l’Europa rimarrà un vaso di coccio alla mercé di un impero americano da tempo in crisi.
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