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Da Raciti a Di Gennaro: quell’Italia dove “uccidere uno sbirro non è reato”

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di Redazione

La recente esecuzione del Maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Di Gennaro riapre una ferita in realtà mai rimarginata.

L’espressione arrogante e strafottente del cocainomane Giuseppe Papantuono, messo a terra dai Carabinieri, dopo aver sparato al Maresciallo, ci fa venire alla mente tutti quei delinquenti che in passato si sono resi protagonisti di violenza contro le forze dell’ordine.

Il momento dell’arresto del cocainomane Papantuono

Come non dimenticare gli ultràs di Catania e Palermo

che uccisero il Carabiniere Filippo Raciti. Un omicidio che, purtroppo, viene ricordato troppo spesso da molte tifoserie al grido di:

Uccidere uno sbirro non è reato

Coro che viene altresì ripreso dai gruppi di teppistelli anarchici per scandire manifestazioni dove oggetti contundenti vengono scagliati verso le forze dell’ordine. Esiste insomma, purtroppo, una fetta d’Italia che non solo non condanna l’omicidio perpetrato da Papantuono, ma vorrebbe addirittura emularne il gesto.

Di seguito riportiamo il pensiero di un nostro lettore in merito al fatto di cronaca:

Nella piazza centrale di Cagnano Varano, sul Gargano, un maresciallo dei Carabinieri è morto in seguito da un colpo di pistola esploso da un uomo, sembrerebbe, per vendicarsi di essere stato nei giorni prima denunciato sempre da dei carabinieri per il possesso di stupefacenti e di un coltello. Il carabiniere assassinato si chiamava Vincenzo Carlo Di Gennaro, un uomo come tutti, con la sola differenza che indossava una divisa e indossandola serviva il suo paese, serviva noi tutti per un misero stipendio e un invisibile e sorda gloria.

Una divisa troppe volte sporcata, ignorata, derisa, insultata ma che alla minima difficoltà o paura, prontamente invocata da tutti noi a gran voce per difendere le nostre vite, le nostre famiglie, i nostri figli. Questo uomo non risponderà più alle nostre chiamate, alle nostre richieste di soccorso, lo farà un altro uomo, un altro carabiniere che a sua volta metterà a rischio la propria vita per noi e per un misero stipendio… Ricordiamocelo, per favore. Ricordiamolo.

di Marco Trogi

 

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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