Come ogni 11 Settembre, si ripropone l’infantile faida circense tra chi preferisce ricordare gli attentati di New York e chi il golpe cileno. In ambedue i casi, non senza lacune o contraddizioni.
Omaggiare Salvador Allende, dal nostro punto di vista, rappresenta un gesto legittimo e doveroso, non tanto per la sagacia o per l’acume politico del personaggio, quanto piuttosto per una questione iconica. Il fu presidente cileno incarna alla perfezione una figura, che, purtroppo, riappare con allarmante frequenza nei radar della storia postbellica: quella del leader politico non allineato al mantra occidentale, sostenitore dell’autodeterminazione del proprio popolo e -proprio per questo- destituito da una vile aggressione sistematicamente perpetrata dall’imperialismo americano.
Una sorte (seppur con le dovute differenze strutturali e metodologiche tra i personaggi in questione) condivisa anche da Omar Torrijos nel contesto latinoamericano e, più di recente, toccata sia a Saddam Hussein, sia a Muammar Gheddafi, all’interno del mondo islamico. Un destino che invece, verrà -forse- risparmiato a Bashar al-Assad, ma solo grazie all’ingente dispiegamento di forze messe a disposizione dai suoi alleati internazionali sul territorio siriano.
Una polemica sterile e puerile
Ad onor del vero però, risulta decisamente stucchevole e puerile questa polemica che si innesca ormai da qualche anno, allo scoccare della mezzanotte dell’11 Settembre; un’eterna diatriba tra chi preferisce ricordare gli attentati di New York (mentre le vittime degli altri due voli subiscono la logica selettiva del cordoglio glamour e dei morti di serie b) e chi il golpe di Santiago del Cile, con cui Augusto Pinochet instaurò la sua dittatura militare e nel quale, per l’appunto, trovò la morte Allende.
Si tratta di una competizione superficiale, che rievoca molto da vicino, quasi ne fosse la naturale evoluzione, quelle battaglie ideologiche e prive di costrutto, combattute da liceali simpatizzanti degli opposti estremismi: i sedicenti fascistelli che il 27 Gennaio danno priorità assoluta all’annessione di Fiume ed i sedicenti marxisti che il 10 Febbraio celebrano la qualunque, pur di non commemorare le vittime delle Foibe. Il tutto, con l’evidente obiettivo di far inalberare l’avversario politico nei corridoi della scuola o su qualche social network.
Ferma restando la libertà di ricordare ciò che meglio si crede, lo svilimento di eventi drammatici e la parallela trasformazione di questi ultimi in simboli funzionali ad infantili lotte celoduriste, non esauriscono le perplessità in merito a questo macabro costume settembrino. A segnare in maniera indelebile l’inabissamento del livello del dibattito politico infatti, è la totale mancanza di coscienza mostrata dagli adepti di ambedue le fazioni, la quale, oltre a non permette loro di effettuare delle ricostruzioni organiche sui fatti in questione, talvolta li espone ad insanabili contraddizioni.
La fazione a stelle strisce…
Da una parte, abbiamo una schiera di moderati, di liberali indottrinati dal dogma americanocentrico e cresciuti con il mito della superiorità spirituale dell’occidente. Hooligans a stelle e strisce che piangono le -quasi- 3000 vittime del World Trade Centre, gridando alla strage di civili incolpevoli (che per carità, è esattamente ciò che è successo) e che non hanno mai riflettuto un secondo sul bagno di sangue scatenato successivamente in Afghanistan ed Iraq dai loro beniamini; uno scherzo che, per restare in tema di innocenti, è costato la vita a circa un milione e mezzo di civili. Una retorica del ricordo impregnata di umanità e commozione a corrente alternata. Una comunità per la quale un centinaio di morti in occidente comporta incredulità, disperazione (e cambio dell’avatar su fb), mentre i quotidiani attacchi che insanguinano il Medio Oriente da 20 anni, a causa della presenza occidentale, rappresentano normali incidenti di percorso in luoghi incivili e sudici come la lettiera del gatto.
…e chi usa Allende per sentirsi ancora di sinistra
Dall’altra parte della barricata, le celebrazioni in onore di Allende consentono l’approfondimento su alcuni inconsapevoli casi umani. Oltre ai pochi veri socialisti e marxisti rimasti (una specie protetta simile ai panda, sopravvissuta a fatica all’estinzione), il prozio della scrittrice Isabel viene spudoratamente omaggiato da moltissimi personaggi vicini all’attuale sinistra socialdemocratica, creando un cortocircuito imbarazzante, ma del quale, per loro fortuna, non si rendono conto. Personaggi che non solo supportano e propugnano battaglie totalmente antitetiche rispetto alle riforme attuate in Cile tra il ’70 e il ’73, fatte di nazionalizzazioni di settori strategici e di redistribuzione delle ricchezze, ma che oggi vedrebbero in Allende una pericolosa ed incosciente deriva populista ai piedi delle Ande e che non esiterebbero, come dimostrato dal caso ucraino, a supportare un Pinochet di turno per ristabilire l’equilibrio e lo status quo. Che poi in politica internazionale, gira e rigira, è sempre il verbo americano.
Filippo Klement