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“Sovranismo psichico”: la Treccani patologizza il dissenso

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Dopo essere stata presa in giro sui social per mesi, la definizione di “sovranismo psichico” ha l’onore di essere ospitata come voce dalla Treccani online.

Autore: Andrea Zhok

Forse è il caso di smettere di ridere e di chiederci se ci siano ancora limiti che i poteri mediaticamente ed economicamente più influenti (l’establishment) considerano non sorpassabili, o se oramai siamo arrivati al punto in cui si ritiene che valga tutto, assolutamente tutto, pur di abbattere l’avversario.

Già, perché ospitare come voce accreditata una formula – quella del “sovranismo psichico” – che è dimostrabilmente un’idiozia con finalità di lotta politica spicciola ricalca esattamente una delle dinamiche descritte da George Orwell, di confisca concettuale e assoggettamento culturale.

Da un lato, le istanze del “politicamente corretto” mettono fuori legge tutte le espressioni che suonano come critiche dell’opinionismo mainstream, e dall’altro vengono accreditate unità concettuali farlocche e strumentali come se fossero descrittori di natura scientifica.

Non basta dunque aver distorto pervicacemente la nozione di “sovranismo“,

applicata originariamente in contesto francofono per le istanze di rivendicazione autonomiste su base nazionale (Quebec, Irlanda, Palestina, ecc…), trasformandola in un sinonimo di “nazifascismo”. Ora si passa alla fase della patologizzazione del dissenso, che viene ridotto a categoria psichiatrica, a deviazione mentale.

Esaminiamo innanzitutto la definizione che viene data di sovranismo psichico:

“Atteggiamento mentale caratterizzato dalla difesa identitaria del proprio presunto spazio vitale.”

La prima cosa da osservare è che se togliamo l’aggettivo “presunto“, che insinua la natura illusoria, erronea del giudizio (per il loro “presunto” punto di vista obiettivo), il resto della definizione rappresenta una descrizione che si attaglia a tutte le specie viventi, a tutte le unità culturali, istituzionali e statali di cui abbiamo contezza. Infatti la “difesa identitaria del proprio spazio vitale” è qualcosa che può valere per l’identità di un organismo rispetto a fattori esogeni che ne destabilizzano l’identità, così come per ogni unità politica nota.

Anche la multiculturale e multinazionale Svizzera opera in forme che tendono a preservare la difesa identitaria del proprio spazio vitale: ha una Costituzione, dei confini, leggi comuni, regole che ne definiscono l’indipendenza da altre unità politiche entro uno spazio in cui vivono i suoi cittadini.

Salvo che per colonie, protettorati o entità politiche fittizie (come alcuni paradisi fiscali),

nel mondo non esistono che unità politiche per cui è ovvio che la propria identità entro uno spazio vitale vada difeso. Tutto il peso dello stigma nella definizione sta nel carattere di illusorietà (“presunto”), che farebbe dell’atteggiamento mentale una forma di delirio, di allucinazione malata.

Le citazioni che forniscono la campionatura d’uso dell’espressione “sovranismo pischico” sono in questo senso eloquenti. La prima fa riferimento ad un atteggiamento “paranoico“, cioè appunto ad una categoria delirante; niente viene aggiunto al quadro, salvo il giudizio insindacabile del giudicante: si tratta di patologia mentale. La seconda addirittura, secondo il canone retorico dello “strawman“, inventa di sana pianta una tesi che nessuno, neanche qualche ultras neonazi etilista, ha mai sostenuto (“vogliamo metterci alla guida dell’altro 99% affermando che devono fare quello che riteniamo giusto noi?“), per poter procedere alla liquidazione forfettaria di ogni richiesta di sovranità.

Ora, ciò che è particolarmente preoccupante in questo episodio di malcostume culturale

è vedere l’abisso di malafede, arroganza e ignoranza in cui sguazzano soddisfatti precisamente quelli che sparacchiano accuse ad alzo zero di malafede, arroganza e ignoranza sui dissenzienti. Siamo di fronte ad operazioni spudorate, prive di scrupoli, in cui vengono avvelenati i pozzi del dibattito pubblico da coloro i quali sono stati posti a guardia degli stessi.

Si tratta di qualcosa che eravamo abituati a leggere nelle descrizioni sull’atmosfera di falsificazione culturale nella Controriforma tridentina o nella Restaurazione napoleonica, pensando che eravamo fortunati a vivere in un’epoca che li aveva superati. E ci ritroviamo oggi con i sedicenti portatori sani di “Illuminismo” a fare le stesse cose, ma con meno scuse.

Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni

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Di Lorenzo Franzoni

Nato nel 1994 a Castiglione delle Stiviere, mantovano di origine e trentino di adozione, si è laureato dapprima in Filosofia e poi in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Trento. Nella sua tesi ha trattato dei rapporti italo-libici e delle azioni internazionali di Gheddafi durante il primo decennio al potere del Rais di Sirte, visti e narrati dai quotidiani italiani. La passione per il giornalismo si è fortificata in questo contesto: ha un'inclinazione per le tematiche di politica interna ed estera, per le questioni culturali in generale e per la macroeconomia. Oltre che con Elzeviro.eu, collabora con il progetto editoriale Oltre la Linea dal 2018 e con InsideOver - progetto de il Giornale - dal 2019.

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