L’altro giorno un amico poneva la seguente domanda: chi è per te oggi il “nemico” storico?
Autore: Andrea Zhok
Ciò contro cui chi abbia a cuore le sorti del Paese e del popolo dovrebbe concentrare gli sforzi? È il fascismo di ritorno, di cui vediamo sempre più frequenti rigurgiti? O è il vuoto politico rosé rappresentato esemplarmente dal PD?
La domanda era posta sottintendendo che dopo tutto il PD e la relativa area di riferimento rappresentano un problema di mediocrità interna al gioco ordinario della politica, mentre rispetto al possibile ritorno di istanze neofascista non bisognerebbe transigere. Il fascismo sarebbe dunque il “nemico”, la mediocrità piddina un semplice avversario.
Siccome questo è un punto di discussione, e una tesi, che emerge frequentemente, provo a spiegare perché a mio avviso il “nemico” politico è rappresentato molto più chiaramente da PD e dintorni che da ogni rigurgito fascista.
Le ragioni sono due, una immediata (e superficiale) ed una che richiede una maggiore riflessione.
1) La ragione immediata è che, al momento, il potere comparativo delle due istanze politiche è incomparabile. Per il momento le forze di ispirazione esplicitamente neofascista in Italia totalizzano qualcosa meno dell’1% dei consensi. Se si vuole allargare lo sguardo a tutti quelli che, pur non essendo fascisti, comunque non guardano al fascismo con schifo, ma come una “discutibile ispirazione” (gran parte di FdI, una frazione della Lega) arriviamo forse al 10%.
Di contro, l’area politica coperta dal PD continua ad avere dietro di sé quasi un terzo dell’elettorato (PD, Italia Nuova, +Europa e frazioni del gruppo misto). Ma soprattutto è l’area politica di gran lunga dominante sul piano economico, sociale e mediatico, ed è quella che può giovarsi del sostegno strategico del blocco franco-tedesco (visto che ne fa gli interessi).
Questa situazione fotografa però un dato attuale che è realmente in evoluzione, e non si può sottovalutare affatto la tendenza al riemergere di istanze esplicitamente neofasciste. Per quanto la storia non si ripeta mai eguale, e dunque non ci sia da aspettarsi movimenti fotocopia di quelli sorti all’indomani della prima guerra mondiale, alcune tendenze interne all’intera società europea portano in una direzione non incompatibile con avventure di tipo fascista.
2) Ma è qui che viene la seconda, e per me decisiva, ragione.
Il fascismo, diversamente dal comunismo, non è mai stato un movimento mosso da uno specifico progetto di società o da una specifica agenda politico-morale. Il fascismo è il principale e più tipico prodotto di scarto del fallimento delle società liberali, è la forma che tipicamente prende la reazione popolare di fronte a stati liberali che “non consegnano la merce”, che si dimostrano incapaci di gestire in modo ordinato e produttivo le società che pure egemonizzano.
Quando uno stato liberale inizia a mostrare le proprie contraddizioni interne, la sterilità delle proprie istituzioni rappresentative (Weimar), l’incapacità di porre rimedio alle diseguaglianze, di conferire una linea di sviluppo alla società, quanto più la gente non si sente rappresentata da chi detiene il potere politico secondo gli schemi del parlamentarismo rappresentativo. Quanto più le libertà e i diritti vengono percepiti come semplici ulteriori fattori di destabilizzazione, tanto più emerge il desiderio di scorciatoie sbrigative, di decisioni incontestabili, di un autoritarismo che risolva qualcosa.
Ma quel desiderio psicologico, del tutto naturale e umano nelle circostanze date, non è ancora fascismo, ed è compatibile con ogni istanza “rivoluzionaria” o “populista“.
Essa però prende una direzione tecnicamente fascista quando sceglie di esercitare la propria reazione selettivamente verso libertà e diritti, preservando l’alleanza con il capitale (non necessariamente con i meccanismi del capitalismo). Il fascismo è la “rivoluzione reazionaria” che però esercita la “reazione” selettivamente verso tutte le componenti dello stato liberale salvo quella cruciale: il grande capitale.
Questa selettività non è accidentale, ma è proprio ciò che ha garantito storicamente il successo delle soluzioni fasciste rispetto ad altre possibili (ad esempio quelle socialiste/comuniste all’indomani della prima guerra mondiale). Mentre l’insofferenza popolare ideologicamente vincolata dei comunisti non consentiva un’alleanza col grande capitale, l’insofferenza popolare priva di chiari ancoramenti ideologici che prese il nome di fascismo trovò il suo percorso di minore resistenza, scegliendo di giovarsi di un’alleanza con specifiche forme del capitale (latifondismo agrario, grande industria).
Ora, se questa lettura – per quanto ovviamente semplificata – coglie l’essenziale nella costituzione delle reazioni fasciste, si dovrebbe capire perché il problema storico cruciale da affrontare (quando come oggi si presenta) è quello del fallimento delle società liberali, con l’isterilirsi del parlamentarismo, l’autonomizzazione delle élite economiche, la disgregazione sociale e la diseguaglianza senza speranza di remissione.
Oggi forze come il PD (e altre forze “europeiste” in altri paesi UE) rappresentano esattamente il fallimento corrente delle società liberali.
Sul piano ideologico hanno esaurito tutto ciò che avevano da dire, e si limitano a ripetere stancamente che si tratta di insistere con le vecchie ricette – sociali, etiche, ed economiche – solo con più intensità e convinzione. Così facendo non fanno che incrementare il tasso di insofferenza popolare e il desiderio diffuso di vedere qualcuno che “prenda in mano la situazione“.
E di fronte a queste tendenze, tutto ciò che le forze liberaldemocratiche riescono ad inscenare sono da un lato forme di auto-celebrazione (come l’attuale concerto di ottoni sulla “Caduta del muro“) e dall’altro stigmatizzazioni sempre più aggressive e disperate proprio di quel fascismo che stanno alimentando.
Ogni grido di allarme “al fascismo” è pubblicità involontaria.
Esso dà l’impressione a masse sempre maggiori che “fascismo” sia il nome di una reale e temuta alternativa al sistema: e ciò che sfugge ai liberaldemocratici è quanto intensamente desiderata sia proprio una “reale e temuta alternativa al sistema”. E ciò gli sfugge perché essi sono il “sistema“.
Peraltro, nel momento in cui gli scricchiolii dovessero preludere ad un crollo, quelle stesse rappresentanze del sistema cercheranno di “salvare il salvabile” (cioè sé stessi e le proprie proprietà) chiedendo le usuali garanzie che il fascismo concede alle élite economiche.
Dunque, il problema se il “nemico” politico siano i rigurgiti fascisti o il neoliberalismo rosé è un problema mal posto: stiamo semplicemente nominando l’effetto e la causa; e chiunque non voglia l’effetto deve innanzitutto prendersi cura delle cause.
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