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L’intervista di Bashar al-Assad alla Rai

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Recentemente, agli inizi di dicembre del 2019, il presidente siriano Bashar al-Assad ha rilasciato un’intervista di grande spessore e monumentale importanza a Monica Maggioni, giornalista ex presidente della Rai, ed inviata alla capitale mediorientale per svolgere il suddetto colloquio.

Il quale si è tenuto senza intoppi e con cordialità, almeno fino alla sua trasmissione sui canali televisivi italiani: il ritardo, e la scelta di non renderlo accessibile se non per via telematica, da parte della Rai, ha fatto infuriare il governo di Damasco.

Si è acceso un dibattito di non poco conto, tanto sul suolo del Bel Paese quanto in terra araba, sui perché della venuta alla luce di questa diatriba. La questione – nelle televisioni, nei giornali e sui social – è giunta finanche in Estremo Oriente, dove alcuni media cinesi hanno riportato la notizia di questo sgarro diplomatico italiano alla Siria. Non di certo una quisquilia facilmente obnubilabile, perciò, o da relegare in fondo ad un rotocalco.

Monica Maggioni intervista per la Rai il presidente siriano Bashar al-Assad

Tuttavia, al di là delle problematiche emerse sulla sua trasmissione al pubblico, i contenuti sono non soltanto apprezzabili, ma anche e soprattutto rappresentano un passo necessario da compiere per la comprensione del conflitto siriano e dell’attuale situazione in Medio Oriente. Infatti, le azzeccate domande hanno incalzato il presidente Assad su fatti e situazioni di vitale interesse per il suo Paese e per la comunità internazionale.

IL SUSSEGUIRSI DEGLI EVENTI IN MERITO ALL’INTERVISTA

Per quanto la cronaca di ciò che è avvenuto fra la Siria e l’Italia sull’intervista Rai ad Assad sia meno interessante rispetto alle tematiche ed alla sostanza che questo medesimo dialogo ha portato con sé, risulta comunque saliente prendere visione dei passaggi che hanno sviluppato il corso degli eventi. Eventi che hanno principiato a realizzarsi all’alba dicembrina del 2019.

Fra l’1 ed il 2 dell’ultimo mese dell’anno appena trascorso, Monica Maggioni – attualmente, amministratore delegato di RaiCom – aveva lanciato la propria proposta di intervistare il presidente siriano al direttore di RaiNews24, Antonio Di Bella, che aveva accettato entusiasta la proposta. Quanto registrato dalle telecamere sarebbe dovuto andare in onda in una puntata di Checkpoint entro lunedì 9 dicembre, con la presenza di illustri ospiti per disquisire su quanto affermato da Assad.

Tuttavia, domenica 8 dicembre, essa è stata annullata. Come appreso dall’Agi, l’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, aveva rilasciato una dichiarazione nella quale esplicitava che tale intervista non era stata commissionata da nessuna sezione del servizio pubblico da lui diretto.

Scatenando le ire di Damasco, sorpreso per l’inspiegabile annullamento. Così, il governo siriano ha deciso, con trasparenza cristallina, di trasmettere lui stesso l’intervista, sui social media ufficiali dell’esecutivo.

Subito si è scatenato un dibattito a riguardo, nel quale si sono rivolte alla Rai accuse di censura, ipotizzate sulla base dell’idea che i contenuti sarebbero stati scomodi per il dibattito pubblico italiano, ottenebrato da anni di narrazioni parziali, o finanche mendaci, sul conflitto in Siria. RaiNews24, per bocca del proprio Cdr, si è affrettata a smentire queste voci, ma comunque ha optato per non mandare in onda l’intervista, comparsa soltanto su Rai Play.

La trascrizione integrale in lingua inglese è comparsa sul sito dell’agenzia di stampa siriana Sana, ed è stata tradotta in italiano da L’AntiDiplomatico, a disposizione dei lettori. I punti toccati, nel corso dell’intervista, sono stati tanti, spartiti in diciotto domande che hanno avuto il merito di interrogare Bashar al-Assad a 360 gradi sul conflitto che ha coinvolto il suo Paese (e che tuttora lo coinvolge) per quasi un decennio.

L’intervista rilasciata da Assad alla Rai e trasmessa via social dall’Agenzia Siriana Sana, con sottotitoli in arabo

GLI JIHADISTI ERANO IL VERO FATTUALE PROBLEMA IN SIRIA

Il presidente siriano non ha indugiato nelle sue risposte, durante l’intervista, ad identificare con esattezza le caratteristiche del conflitto che ha così lungamente attanagliato il suo Paese e spossato il suo popolo – condotto sino alle estreme condizioni di sopravvivenza e sussistenza dalla barbarie jihadista -: una guerra per procura. Definirla “civile” sarebbe, nella sua opinione, un errore, in caso mancata consapevolezza delle circostanze, ed addirittura una menzogna nel caso di coscienza dell’accaduto e – nonostante questo – di mendace e distorta narrazione.

Infatti, non si è trattato, per tutto questo tempo, di una rivolta della popolazione al governo e di una divisione a metà della popolazione fra opposizione ed appoggio al presidente, ma di un tentativo di rovesciamento dell’ordine costituzionale per mano di guerriglieri armati da potenze estere, interessante ai preziosi tesori siriani ed indifferenti rispetto ai civili. Parlare di “guerra civile” è quanto mai fuorviante, un’interpretazione non foriera di onestà intellettuale, secondo Assad.

Il vero problema dell’occupazione del territorio siriano è stata rappresentata dagli jihadisti estremisti di ISIS, al-Nusra e tante altre sigle terroristiche.

Coadiuvati dai White Helmets, incensati dall’opinione pubblica straniera come portatori di pace (sia bastevole ricordarne il documentario) ma, de facto, propugnatori dell’esatto opposto: hanno collaborato con il Califfato e con coloro che vi si erano alleati, producendo filmati e pellicole ad uso e consumo soltanto occidentali, ma non rappresentanti affatto la realtà siriana.

Mappa della Siria elaborata dalla rivista italiana di geopolitica “Limes” ed aggiornata al 2018

Peraltro, occorre sottolineare come l’ISIS abbia rappresentato, fondamentalmente, la prosecuzione dell’estremismo di al-Qaeda, ma con mezzi più brutali ancora, ed un percorso di iniziazione persino più breve. Come migliaia di siriani possono testimoniare, e con essi diversi episodi di terribile violenza – ad esempio, emblematico fu quello di Khaled al-Asaad, custode del sito archeologico di Palmira per mezzo secolo, decapitato perché schieratosi a difesa di quel prezioso tesoro -, l’ISIS aveva ben poco di islamico, se non vuoti richiami al Profeta ed al Corano. Mezzi funzionali ad attrarre e plagiare uomini coi quali esercitare un controllo violento sul territorio e sui civili, quasi di stampo mafioso: mai ijtihad (interpretazione ermeneutica dei Testi Sacri), ma solo e soltanto perversione del jihad (inteso non come sforzo di comprensione, ma come “guerra santa“).

LE RESPONSABILITÀ OCCIDENTALI IN SIRIA

Assad ha, inoltre, attaccato direttamente tutti coloro che ha ritenuto e ritiene responsabili della lunghezza e della disumanità della guerra in Siria: le potenze occidentali. In particolar modo, i Paesi europei, gli Stati Uniti e la Turchia. Sublime Porta la quale, recentemente, ha invaso il Rojava, territorio sotto il controllo dei curdi – abbandonati da Donald Trump, e per ciò stesso riparati verso la Russia ed il governo siriano tramite il loro comandante, Mazloum Abdi -, nel nord-est del Paese mediorientale.

Mappa dell’invasione operata dalla Turchia nel nord-est della Siria (Fonte: InsideOver, articolo “La Turchia invade il nord della Siria: ecco tutte le forze in campo”)

Infatti, dal suo punto di vista, che l’Europa si lamenti di problemi impellenti e di sicurezza notevoli, quali gli attentati che hanno insanguinato per anni le più svariate grandi città del Vecchio Continente, il ritorno dei foreign fighters alla base ed il problema dei rifugiati, è tremendamente ipocrita. Assad, più di chiunque altro, pensa agli Stati europei (soprattutto Francia e Regno Unito, come acclarato da talune dichiarazioni di pubblico dominio) come i grandi facinorosi attori esterni della guerra in Siria.

Infatti, le succitate aporie non nascono dal nulla: esse non sarebbero esistite, o comunque non avrebbero trovato una tale duratura alimentazione, se l’Europa non avesse cercato in ogni modo di prolungare la guerra in Medio Oriente con l’obiettivo di far cadere un governo non allineato ed un presidente capace di perseguire gli interessi nazionali, al di là di ogni minaccia provenuta da fuori.

La loro sorgente e scaturigine è stato lo scontro bellico in Siria, che se non incalzato ed incendiato di continuo avrebbe forse potuto risolversi prima: alleggerendo così gli attori europei del peso delle sue ricadute.

Il sostegno in armi (passate soprattutto attraverso Arabia Saudita e Qatar, l’asse desertico anti-sciita di quella Mezzaluna Fertile rappresentata dalla Siria alawita, dall’Iraq e dal Libano di Hezbollah), diplomazia ed informazioni mediatiche (uniformemente contro Assad) dell’Europa agli jihadisti ha peggiorato la situazione di tutti. Infatti, i riverberi di quanto accaduto in Siria si sono percepiti a miglia di distanza: le interferenze straniere hanno connesso i Paesi che le hanno esercitate a Damasco ed alla sua guerra contro il terrorismo (indotto, non spontaneo).

Un ultimo spunto interessante a riguardo è la mancata durissima accusa agli Stati Uniti, che pure a lungo sono stati illegalmente in Siria con i loro soldati. Un’ipotesi potrebbe essere che l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, con conseguente abbandono progressivo della politica estera di stampo neo-conservatore (che Matt Purple su The American Conservative ha definito bombardare castelli nel cielo), ed il ritiro ordinato da lui stesso delle sue truppe dal territorio siriano abbia indotto Assad a considerarlo con maggiore benevolenza – ma pur sempre con criticità – rispetto al predecessore Barack Obama. Anche diversi analisti americani hanno interpretato in tal modo la scelta del tycoon: porre fine alla “guerra infinita”.

L’APPOGGIO DELLA POPOLAZIONE AD ASSAD

Assad ha specificato a Monica Maggioni, incalzato da una di lei domanda, un punto di imprescindibile ed essenziale importanza sul conflitto in Siria: durante tutto il periodo della guerra, la popolazione ha appoggiato il suo legittimo presidente. Infatti, a differenza del mondo occidentale – che si è sempre sentito raccontare la storia di un dittatore sanguinario oppressore del suo popolo (come fu per l’Iraq di Saddam Hussein e per la Libia di Gheddafi) -, i cittadini siriani non hanno mai desiderato la caduta del proprio capo politico.

Una volta compresa l’infiltrazione estremista nella primavera araba siriana del 2011, la virata dei cittadini è stata netta e decisa, verso la legittimità legislativa, giuridica e politica di Assad. Difatti, nel momento stesso in cui fosse caduto il presidente, la conseguenza non sarebbe stata l’instaurazione di un regime perfetto e perfettamente democratico, ma la dittatura civil-militare di una formazione terroristica – l’ISIS (o Daesh) – che, nel frattempo, aveva preso il controllo del territorio. Uccidendo ogni avversario – e persino civili innocenti (spesso usati come scudi umani) -, depredando città e campagne, vendendo le sue beltà artistiche (o distruggendole) e facendo affari illegali attraverso il controllo dei pozzi petroliferi siriani.

Bashar al-Assad lo ha sottolineato con chiarezza: il suo interesse, e quello del suo esecutivo, è sempre stato quello di difendere i civili, di proteggerli dalla barbarie jihadista.

Alimentata da interessi stranieri, nel frattempo che in via ufficiale venivano applicate sanzioni alla Siria: non certo un colpo per il governo, ma per i cittadini vittime del machiavellico opportunismo politico degli Stati europei. Non solo per una questione morale, ma anche per i valori del popolo siriano e per gli interessi della nazione, egli ne ha difeso il popolo.

Senza il sostegno popolare, non puoi ottenere assolutamente nulla. Non è possibile – se privati di esso – avanzare politicamente, militarmente, economicamente ed in ogni aspetto, sotto ogni altro punto di vista. Non avremmo potuto – né potremmo – resistere a questa guerra per nove anni senza il sostegno popolare, e non si può avere sostegno pubblico se si uccidono civili. Questa è un’equazione, questa è un’equazione evidente, e nessuno può smentirla”.

Striscioni ad Aleppo, liberata dagli jihadisti nel 2017, rappresentanti coloro che il popolo siriano ha ritenuto suoi salvatori: il presidente russo Vladimir Putin, il presidente siriano Bashr al-Assad, l’ayatollah iraniano Ali Khamenei ed il capo degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah (Fonte: Nervana, articolo “Assad, Isis, and Turkey”)

Una dichiarazione ineludibile ed incontrovertibile. Senza l’appoggio della popolazione – che non si è fatta condizionane né manipolare (una speranza riposta anche per quelle dei vicini Libano ed Iran) -, Assad non avrebbe mai vinto la guerra.

LA MENDACE NARRAZIONE MAINSTREAM SULLA GUERRA IN SIRIA

Un aspetto particolarmente significativo che Assad ha tenuto a mettere in evidenza nella propria disquisizione con Monica Maggioni è stato il ruolo ricoperto dai media occidentali e dalla (dis)informazione che hanno operato nei confronti della guerra per procura che è stata condotta in Siria da potenze straniere. Potenze interessate ad una via di passaggio di straordinaria importanza, a livello geopolitico (alleata della Russia), strategico (in Medio Oriente) ed economico (l’accettazione della pipeline iraniana e non quella qatariota; la presenza di abbondante oro nero).

Le due pipeline, iraniana e qatariota, passanti per la Siria (Fonte: Sole24Ore, articolo “Siria, dietro il conflitto l’eterna guerra per le pipeline”)

Riferendosi alla lettera ricevuta da Papa Francesco nel giugno del 2019, nella quale la massima autorità cristiana gli chiedeva di preservare l’integrità della popolazione civile, egli ha scorto nella visione del Vaticano una distorsione rispetto alla realtà siriana. O, quantomeno, una parzialità di vedute, indotta dalle informazioni che per anni non sono state rielaborate e rilette, ma rilanciate con velocità ed in presa diretta, senza cautelarsi sull’affidabilità delle fonti. Le quali, per lo più, erano di matrice “ribelle”, direttamente jihadista od appartenenti a Paesi arabi coinvolti nel tentativo di destituzione di Assad (l’Arabia Saudita con al-Arabiyya, il Qatar con al-Jazeera).

Auspicando un ruolo importante della Santa Sede nel contribuire a ripristinare la sanità delle relazioni internazionali (come fece peraltro già negli anni Novanta con la Libia di Gheddafi, all’epoca in difficoltà enormi perché sotto unanimi sanzioni), Assad è tornato a parlare della cattiva – od avvelenata – informazione occidentale attraverso due esempi lampanti: i bombardamenti sui civili e l’uso di armi chimiche da parte del suo governo.

Che gli attacchi dell’esercito della Repubblica Araba di Siria colpissero sempre e soltanto obiettivi civili, con gli ospedali come target prediletto, era davvero arduo da credere. Come ardua da credere è stata l’eccezionale coincidenza dell’avanzata delle milizie fedeli allo Stato con la denuncia, da parte dei “ribelli moderati” – scoperti terroristi solo una volta schierati con Erdogan contro i curdi -, di un attacco chimico a Douma nel 2018.

Assad ha rivendicato con forza che il suo esercito non ha mai utilizzato armi chimiche, e non avrebbe comunque avuto modo di farlo, per una serie di ragioni contingenti:

  • il suo arsenale era stato smantellato anni prima, precisamente fra 2013 e 2014;
  • a livello logistico e strategico, in un momento di vittoria bellica e di avanzamento imperante, utilizzare armi proibite, attirandosi addosso l’astio della comunità internazionale e probabili ritorsioni sul campo, sarebbe stato lesivo e sciocco;
  • essendo armi di distruzione di massa, avrebbero causato migliaia di morti, sia immediatamente che nei postumi in seguito, ma così non è stato;
  • l’OPWC [Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, OPAC, N.d.R.] non ha fatto un lavoro limpido, anzi è stato utilizzato come uno strumento politicizzato per ottenere un obiettivo contro la Siria di Assad, come una recente talpa ha testimoniato.

In conclusione, i media occidentali hanno contribuito a creare ed alimentare falsità e sciocchezze sulla Siria, cercando di catturare pietisticamente l’attenzione dell’opinione pubblica per fomentare il disprezzo verso il regime siriano. Reo di aver provato a difendere la propria popolazione da una guerra durissima e spietata, dice Assad. Non incidentalmente, Sebastiano Caputo – giornalista e reporter di guerra – ha definito quel Paese il Cimitero dell’Informazione; altrettanto non incidentalmente Giorgio Bianchi, fotoreporter e documentarista, ha accusato i media occidentali di essere portatori di un doppio standard lapalissiano.

IL RUOLO GIOCATO DALLA RUSSIA

Assad ha inoltre parlato dell’intervento della Russia di Vladimir Putin nel conflitto siriano, esplicitamente richiesto dal presidente, e venuto in essere in un asse militare che ha coinvolto anche l’Iran e le milizie di Hezbollah (il partito sciita libanese) a partire dall’anno 2016. Un intervento che ha permesso all’esercito siriano di farsi spazio nella macchia nera dell’ISIS che aveva occupato buona parte del Paese, operando continue brecce ed avanzando imperterriti e con le spalle coperte.

Secondo il presidente, la Russia ha aiutato – grazie anche alle due basi militari sul suolo siriano di Latakia e Tartus, risalenti all’epoca sovietica – un suo alleato a ripristinare l’ordine sociale interno, fornendo un contribuito militare e civile di grande e notevole caratura. E tutto questo facendosi al contempo propugnatrice del rispetto del diritto internazionale, essendo entrata nel Paese mediorientale legalmente.

L’accordo raggiunto con la Turchia non è un avallo all’operazione militare scellerata cui la Sublime Porta ha dato vita, ma un tentativo di intervenire nella questione per avere un ruolo primario nella stipula di accordi che coinvolgono un alleato, per l’appunto.

Bilanciare il cattivo ruolo esercitato da Ankara (col sostegno di talun Occidente, non degli Stati Uniti), con il buon ruolo e mestiere esercitato da Mosca, che ha appoggiato Damasco con soldi, viveri, conoscenze e sangue dei suoi soldati. Infatti, il compromesso raggiunto non è sulla sovranità e sull’integrità della Siria, che sono inalienabili, ma sugli sviluppi di una situazione reale e comportante dei pericoli.

Il presidente alawita ha aggiunto che personalmente non vorrebbe mai dover arrivare ad un accordo con Erdogan, a meno che questo sia dettato dall’interesse nazionale che egli persegue per il suo popolo: dove va quest’ultimo, infatti, vorrà andare anche lui. Non tacendo però sulla caratteristica della Turchia di portare innanzi un islamismo opportunista ed egemonico, ben poco solidale verso la umma (e gli Stati che la caratterizzano) se non per scopi e fini politici del tutto personali. (Una distinzione che può in certo qual modo rimandare a quella fatta, ancora negli anni Ottanta, da Mu’ammar Gheddafi tra fondamentalisti ed estremisti, cioè portatori sani e portatori infetti del messaggio islamico e dei suoi obiettivi ultimi).

PROSPETTIVE ECONOMICHE E DI RICOSTRUZIONE IN SIRIA

I fattori economici non sono stati i principali e precipui stimoli verso la crisi che poi si è trasformata nella guerra per procura in Siria: parola del presidente. E non a tutti i torti. Fino al 2011, infatti, la Siria possedeva una produzione agricola invidiabile (cotone, olive e prodotti derivati, grano variegato), un alto livello di sicurezza a livello nazionale, un seggio d’onore al tavolo della ricerca scientifica in quella delicata zona del mondo, una filiera industriale di valore, un patrimonio artistico invidiabile (fonte di turismo da tutto il mondo) e le rendite petrolifere.

Lo Stato è assoluto protagonista nell’economia siriana, e questo Assad lo ha rivendicato con forza: Damasco ha adottato una prospettiva socio-economica di stampo eminentemente socialista, mettendo da parte il liberalismo occidentale – portatore di disuguaglianze sociali, di competitivismo progressivamente senza più limiti, di deregolamentazione e di storture niente affatto confacenti ai dettami della società civile siriana. Ed è stato un successo: non a caso, prima della guerra, il Paese era la gemma del Medio Oriente.

Una problematica individuata dal presidente è stata la differenza sussistente fra zone rurali e zone cittadine, dove le prime si sono trovate depauperate di manodopera e risorse a causa del processo incipiente di inurbamento della popolazione.

Ed è proprio lì che gli “agenti di guerra” interni ed esterni sono andati a pescare adepti, sfruttando un celato malcontento per l’evoluzione della situazione. Anche lì, ma assolutamente non solo lì, con ogni probabilità, i nemici del Paese hanno trovato un terreno su cui tentar di prosperare, portando dalla propria parte soprattutto fuorilegge – verso cui è mancata prevenzione – disposti a lavorare per servizi di intelligence straniere a discapito e nocumento del proprio governo, dei propri concittadini e del proprio popolo.

Infografica tripartita sulla ricostruzione in Siria (Fonte: ISPI, articolo “Reconstructing Syria: Assad’s goals and interests”)

Al di là di questo excursus, Assad ha poi risposto alla domanda della anchor-woman di RaiCom sulla ricostruzione della Siria esprimendo grande fiducia. In qualità di Stato sovrano, la Siria ha già iniziato a finanziare in deficit tutti i progetti di riassestamento delle zone distrutte del Paese – come dichiarato dallo stesso Assad su Arab News ancora nel 2018 -, ottenendo ottimi risultati. Inoltre, diversi investitori internazionali sono pronti a portare i loro fondi in Siria, trattandosi di un investimento a rendere, un affare certo: le sanzioni sono dannose per tutte le parti, in questo senso, ma molti protagonisti (privati) stanno escogitando ed attuando dei piani di elusione delle stesse. Insomma, c’è da sorridere con serenità in questo.

PASSATO, PRESENTE E FUTURO: L’ORIZZONTE DELLA SIRIA DI ASSAD

Assad, sollecitato da una domanda sugli errori da lui commessi durante la guerra nel suo Paese, ha risposto con un piccolo saggio di filosofia politica. Stante il fatto che l’errore fa parte della natura umana, egli ha sottolineato la necessità di discernere e ben inquadrare le peculiarità della pratica politica, ove vigono strategie e tattiche. Le quali, nel corso di questi quasi nove anni, sono state tese sempre a combattere il nemico ed a proteggere i cittadini da qualunque pericolo cui fossero esposti. Infatti, così ha spiegato:

“Quindi, le nostre decisioni strategiche, o le nostre decisioni principali, dovevano contrastare il terrorismo, raggiungere la riconciliazione e contrastare le ingerenze esterne nei nostri affari. Oggi, dopo nove anni, adottiamo ancora la stessa politica: anzi, siamo finanche più aderenti a questa politica. Se avessimo pensato che essa fosse sbagliata, l’avremmo cambiata; ma in realtà no, non pensiamo che ci sia qualcosa di sbagliato in questa politica. Abbiamo compiuto la nostra missione: ovverosia, abbiamo implementato la costituzione proteggendo le persone”.

Perciò, gli sbagli sono semmai da collocare prima della guerra: politici, civili e così via. Fra questi, quello maggiormente riconosciuto come tale è stata l’eccessiva tolleranza nei confronti dell’estremismo islamico e del wahhabismo, che in un Paese multi-etnico e multi-religioso come la Siria – con una tradizione di grandissimo rispetto fra tutte le sue componenti – hanno posto semi malvagi, richiami cui taluni hanno volto la propria attenzione. Dando vita ad una guerra, peraltro, né etnica né religiosa, ma territoriale e politica.

Tuttavia, la buona condotta politica e militare durante la guerra – possibile, vale la pena ribadirlo, solo grazie all’appoggio della popolazione -, ha permesso ad Assad di vincere.

Ora, la Siria sta ritornando a vivere: l’ideologia estremista propugnata e propagandata per anni dai terroristi sta venendo combattuta dagli intellettuali e dalla cultura tutta perché non attecchisca; centinaia di migliaia di persone sono tornate a casa; la società siriana è uscita più forte e consapevole da questo tunnel bellico.

Il supporto espresso dai siriani per il presidente Bashar al-Assad (Fonte: Babilon Magazine, articolo “”Syria’s legacy: contendenti e strategie in Siria)

Tutti i siriani sono – per l’intervistato – degli eroi, dei sopravvissuti: ad una guerra barbara e crudele, eterodiretta, che ha colpito ogni centimetro del Paese (la quale ancora deve trovare, comunque, la sua fine definitiva). E, con loro, connesso a loro, grazie a loro – individualmente e collettivamente -, è sopravvissuto anche il loro presidente: Bashar al-Assad.

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Di Lorenzo Franzoni

Nato nel 1994 a Castiglione delle Stiviere, mantovano di origine e trentino di adozione, si è laureato dapprima in Filosofia e poi in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Trento. Nella sua tesi ha trattato dei rapporti italo-libici e delle azioni internazionali di Gheddafi durante il primo decennio al potere del Rais di Sirte, visti e narrati dai quotidiani italiani. La passione per il giornalismo si è fortificata in questo contesto: ha un'inclinazione per le tematiche di politica interna ed estera, per le questioni culturali in generale e per la macroeconomia. Oltre che con Elzeviro.eu, collabora con il progetto editoriale Oltre la Linea dal 2018 e con InsideOver - progetto de il Giornale - dal 2019.

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