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Revisionismo storico: perché il Giappone attaccò Pearl Harbor?

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Sui libri di storia, che da tempo i nostri docenti ci appioppano, poche righe sono dedicate alle spiegazione dell’entrata in guerra del Giappone nel 1941. Alcuni testi parlano di “infame attacco“, su altri di “azione indiscriminata“, altri addirittura lo equiparano ad un vero e proprio atto terroristico. Sappiamo invece che di terroristico e indiscriminato ci fu ben poco, sia perché Pearl Harborrappresentava un obiettivo militare ben preciso, sia perché il Giappone non si sarebbe mai messo contro la nazione più forte al mondo se non per una ragione sacrosanta.

Così salta fuori la vera natura del presidente americano Franklin Roosvelt, freddo calcolatore degli interessi economici del proprio paese. Il suo New Deal aveva portato alla stabilizzazione economica, ma non alla crescita, la quale sarebbe potuta avvenire solo con un surplus nell’industria bellica, senza contare tutti gli investimenti fatti nel settore militare inglese e cinese in funzione rispettivamente anti-tedesca e anti-giapponese. Scrive George Victor in “The Pearl Harbor Myth” che “Temendo di perdere la guerra con gli Stati Uniti, ed in modo disastroso, i dirigenti politici giapponesi avevano tentato disperatamente di negoziare. Su questo punto, la maggior parte degli storici concordano da tempo. Nel frattempo sono emerse le prove che Roosevelt e Hull rifiutarono di trattare in modo persistente. Il Giappone offrì compromessi e concessioni, alle quali gli Stati Uniti si opponevano con richieste sempre maggiori. Solo dopo aver appreso della decisione del Giappone di entrare in guerra con gli Stati Uniti che Roosevelt decise di interrompere tutti i negoziati.”

Innanzitutto ci furono le sanzioni economiche applicate al Giappone in seguito all’invasione della Cina, fino ad arrivare al 2 luglio del 1940 con la firma del Decreto sul Controllo delle Esportazioni, che autorizzava Roosvelt a concedere o bloccare le esportazioni secondo la sua volontà. Così il 31 luglio dello stesso anno le esportazioni di carburanti per motori d’aereo e lubrificanti, nonché materiali di ferro per fusione e scarti d’acciaio furono fortemente limitate. Infine ultimo atto, nel luglio del 1941, Roosvelt congelò i depositi giapponesi negli Usa. Gli accordi con l’Olanda, al tempo in esilio a Londra, furono fondamentali per interrompere il flusso di petrolio dalle Indie olandesi verso il Giappone.

Così con l’assenso dell‘imperatore Hirohito il Giappone, impossibilitato a proseguire sotto questa stretta economica, pianificò l’invasione delle Indie olandesi, bloccando però la flotta statunitense di stanza nelle Hawaii e l’altra nelle Filippine. La fitta rete di messaggi tra gli alti comandi giapponesi venne interamente decriptati dall’intelligence americana, così Roosvelt e i suoi intimi vennero preventivamente a sapere del piano d’attacco del popolo del Sol levante.

Il presidente americano avrebbe così potuto evitare i 57 civili morti a Pearl Harbor, eppure non lo fece: era evidentemente quello il pretesto giusto per avere la legittimità popolare dell’entrata in guerra. Tutta questa documentazione di un lavoro metodico fatto di 14 anni di ricerche da parte del giornalista americano Robert Stinnet, racchiuso nel libro “The truth about Fdr and Pearl Harbor“.

Il Giappone è stato insomma un antesignano degli stati canaglia a noi ben noti.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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