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I grillini si credevano sulla riva del fiume. Si scoprirono naufraghi nell’aborrito mare aperto

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BAGATTELLE - di Marco Margrita

Il buon Beppe Grillo ha, ieri, carinamente rivolto un appello ai giornalisti: “Pentitevi!”. Il comico prestato(si) alla politica ha suggerito ai colleghi della televisione: “Fate outing e spiegate che siete costretti a occultare, tagliare, schernire per salvare il vostro posto di lavoro e, insieme, le relazioni importanti. Persino la mafia ha avuto il pentitismo”. Vuole offrire un’occasione per salvare dalla dignità, “anche se fuori tempo massimo da un pezzo”. In cambio del pentimento offre un “programma di protezione” (di protezione non parlano solo i servizi di sicurezza, come ben si sa, ma fermiamoci qui). Ben lungi dal volersi pentire (di che?), dal nostro nulla, torniamo a pestare un po’ sulle contraddizioni dei già salvatori della patria, ora un tantino in crisi d’identità (oltre che di nervi).

Il secondo libro del “De rerum natura” di Lucrezio si apre con un’immagine davvero potente: “Bello, quando sul mare si scontrano i venti / e la cupa vastità delle acque si turba, / guardare da terra il naufragio lontano:/ non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina, / ma la distanza da una simile sorte”.

La distanza, l’alterità. E’ stata – dai grillini – proclamata, pretesa e rivendicata. Una distanza e un’alterità che non si rallegra(va) solo della diversa sorte rispetto ai naufraghi. No, il naufragio visto e descritto come giusta punizione. Come conseguenza della “contaminazione” con il “mare aperto” del potere praticato. Per capirne di più bisogna recuperare, sull’onda de “Il Foglio”, un saggio (del 1938) del sociologo danese Svend Ranulf: “Indignazione e psicologia della classe media”. Vi si trova ad un certo punto scritto: “l’emozione che sta dietro alla tendenza disinteressata a infliggere punizioni, disinteressata perché non ottiene alcun vantaggio diretto dal punire, ma solo il mascheramento, più o meno riuscito, di un tipo di invidia, intesa in senso neutro come in Erotodo”.

Ciò non significa che le conseguenze politiche di questa invidia siano neutre, come le vicende di tanti totalitarismi, che proprio strutture di punizione da rivolgere contro l’invidiato scelto nell’occasione hanno scientificamente creato, insegnano. Ciò che conta, comunque, non è il risultato, ma la punizione. Grillo (e quanti sono stati fascinati dalla sua affabulante retorica, ma i numeri qui sono in calo, anche tra gli eletti) si immagina come colui che indica chi va punito. Lo scovatore di reati a supporto di una già certificata condizione di rei degli avversari. Da distante, senza contaminarsi. Dentro, ma fuori. L’apritore del Parlamento come “scatolette di tonno”, per dirla con la metafora pentastellata.

“Il mare in tempesta”, ovvero la lotta politica ed istituzionale, non va toccato. Bisogna rimanere con i piedi “saldi per terra”. In una tutta pretesa concretezza. In un reclamato e preteso buonsenso da contrappore alle alchimie criminali dei potenti professionali. Senza indicare, se non nella narrazione fantasy di Casaleggio, un punto di arrivo. L’unica navigazione, ed ecco la mitizzazione del cazzeggio autistico internettiano, consentita è quella sospinta dalla bonaccia (roba da scettici ed epicurei, da borghese new age). Si decresce, ci si acquatta (to squat). Non si vuole correre il rischio (non si da nemmeno la mano agli membri del Parlamento, altri e non colleghi) di contaminarsi. Ci si rifugia nella metafora, aborrendo il concetto condiviso. Si parla la propria lingua. Scurrile, come i finti adulti.

Un non-partito (quindi fermo) che, cortocircuito semantico, si definisce Movimento. Dove a dare la rotta (che non c’è, perché non c’è meta) è il cuoco di bordo. L’esperienza, la realtà, invece ci dice, come Pascal, “Vous êtes embarqués”. La vita è accogliere il rischio, coinvolgersi. Si può richiamare De André, la celebre Canzone del maggio. Per quanto Grillo ed i grillini (borghesi agognanti punizioni, in un truculento e grottesco law and order) si credano “assolti, sono lo stesso, lo stesso coinvolti”. Non c’è scambio, ed infatti, tolti i settari più intransigenti, cui appartiene non a caso tutta le truppa piemontese e No Tav, anche gli eletti chiedono che si faccia, che non ci si limiti alla predicazione dell’alterità come valore in sé. Non si può, secondo molti eletti ed elettori (che come Grillo ricorda: hanno sbagliato scelta) limitarsi alla predicazione contro i privilegi ed alle rendicontazione delle diarie. Soldi, di quali altre assenze o presenze si nutre l’invidia?

C’è poco da fare, per gli (im)mobilisti grillini valgono le parole di Jakob Burckhardt: “Ci piacerebbe conoscere l’onda sulla quale andiamo alla deriva nell’oceano; solo, quell’onda siamo noi stessi”. Gli spettatori non sono mai diventati attori. Il voyeurismo politico dei “cinque stelle” è insostenibile. E tanti invidiosi hanno scelto l’astensione come punizione più gradevole del voto al Coluche denoantri (ed ai suoi replicanti).

@mc_margrita

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Di Redazione Elzeviro.eu

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