Si può operare un paragone tra Mishima e Ishiguro.
Entrambi giapponesi, almeno di nascita, una trentina d’anni di differenza. Uno è morto nel Settanta nei modi del fanatismo oltranzista. L’altro è ora un imbolsito ed attempato inglese con gli occhi a mandorla. Una produzione vasta da parte del primo, qualche libro da parte del secondo. In entrambi, una sorta di frattura interiore fra le radici e la calamitica decadenza occidentale. Il non arrendersi a questa, contro l’abbracciare e il rifiutare il proprio essere a favore dell’incontro, positivo, delle culture.
Non hanno dato il nobel a Mishima, che pure lo sfiorò, ma lo danno a Ishiguro.
I. è una letteratura poco sopra il romanzetto intriso di Christie e Conan Doyle, con venature di oriente così flebili da chiedersi se promanino dall’esperienza casalinga o dall’immaginazione dell’autore nippobritannico. L’onestà della penna fa propendere per la prima scelta.
M. è M.: arte, contraddizione, guerra, pace, romanzo, amore, impulsi, passioni, strazio, dolore, giustizia, ma anche occidente e nevrosi metropolitane. Anche in Ishiguro vengono toccati questi aspetti, ma come una tangente, mentre Mishima penetra questi aspetti con acuminata incisione.
In M. la cifra dell’antitesi sta nella pur avvenente scialbezza, ch’è posta contro l’Estetica, cifra somma ed alfine indiscutibile a cui tende l’uomo. Senza una pazzia nietszchiana che gli si vorrebbe imputare, bensì come lucido espletamento di una carriera letteraria, artistica e militare al servizio dell’Impero.
Ishiguro Kazuo ha 64 anni, ma prima di arrivare all’eterno 45 enne Mishima Yukio, beh, no: non ci arriverà mai…