Dubito che qualcuno in Italia si ricordi di un episodio accaduto nei primi anni novanta negli Stati Uniti, in un momento decisivo per l’affermazione del liberismo selvaggio.
I media si guardano bene dal menzionarlo e i politici, anche quelli a cui potrebbe rivelarsi utile, sono troppo superficiali o ignoranti per averne nozione. Parlo di David Dinkins e del quadriennio in cui fu sindaco di New York. Nel decennio precedente la metropoli era precipitata in una spirale di violenza, disordine e sfiducia, e Dinkins la risollevò; in nessun periodo la criminalità diminuì come durante il suo mandato. Ma i giornali e i network televisivi fecero finta di niente e Dinkins stesso pensò soltanto ai risultati e non al modo di farli conoscere o di fondarli su un’ideologia facilmente comunicabile e recepibile.
Così fu scalzato da Rudolph Giuliani, che restò al potere per otto anni con lo slogan della “tolleranza zero”; poco importò che i suoi risultati fossero modesti: la gente aveva bisogno di una retorica forte, di una sensazione di sicurezza ancor più che di vera sicurezza, e naturalmente i media fecero la loro parte attribuendogli il nomignolo di “sceriffo” e successi inesistenti o già ottenuti dal suo predecessore.
Qual è lo scopo di questa parabola?
Ricordare a Virginia Raggi, a Luigi Di Maio e al M5S in genere che politicamente non si vive e sopravvive di soli fatti, neppure se oggettivamente positivi. Non in questa epoca dominata dalla disinformazione e dalla virtualità. I fatti servono ma solo se ci sono anche i mezzi per divulgarli. Per cui l’assoluta priorità dei pentastellati deve essere la costruzione, a questo punto con urgenza, di un apparato di propaganda (ma va chiamato “di informazione”) in grado di contrastare quello di liberal e liberisti.
Francesco Espramer*
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*Estratto da post pubblico su Facebook.