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Le macroscopiche gaffe di “Winston” Conte

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Dall’inizio della crisi la comunità moderata sembra aver identificato nel premier Conte (il fu “burattino di Salvini e Di Maio”) uno statista esemplare. Giudizio che pare non aver subito ridimensionamenti nemmeno dopo le bufale e le gaffe istituzionali dell’ultima riprovevole conferenza stampa.

Adesso proviamo a fare tutti un semplicissimo esercizio di fantasia. Proviamo ad immaginare un universo parallelo –  tutto sommato molto verosimile e futuribile – in cui accade quanto segue: Salvini che non solo sbeffeggia il leader dell’opposizione a reti unificate e senza contraddittorio, ma che successivamente sfodera anche un capolavoro di ignoranza storico-parlamentare riscontrabile da chiunque con una rapida ricerca su Google.

La reazione media di quei problematici soggetti che sono ormai soliti arraparsi con i discorsi del premier sarebbe, senza ombra di dubbio, qualcosa di analogo ad un coro di reazioni preconfezionate come “analfabeta funzionalehhh, seminatore di odiohh, feic niusss“. E invece, al leguleio del Tavoliere, tutto è concesso dai bimbi e dalle bimbe che lo hanno riscoperto novello Churchill (o De Gasperi, o De Gaulle, dipende dai gusti). Il tutto, rigorosamente, da quando ha cambiato coalizione di governo.

L’abuso di Conte e la critica di Mentana

L’esercizio richiesto è utile per evidenziare come quella stomachevole abitudine di applicare le logiche del tifo da stadio alla politica, sia appannaggio anche della comunità moderata e/o progressista. Quel manipolo di soggetti autoincoronatisi speranza del paese, in virtù della loro indiscutibile capacità di discernere la razionalità dal sentimento e di anteporre la responsabilità alle simpatie.

Il loro nuovo baluardo contro la scure sovranista, sentendosi ferito nell’onore, non ha risposto al battibecco personale attraverso i canali idonei alla polemica politica, quali i social, i comunicati o le interviste rilasciate ai principali media: macché. Winston ha pensato bene di fare ricorso ad una conferenza stampa destinata alla nazione, nel bel mezzo della peggiore emergenza sanitaria, economica e sociale del dopoguerra.

Persino il buon Enrico Mentana, tutto fuorché un fondamentalista salviniano, ha stigmatizzato l’abuso personalistico perpetrato dal premier. Un pensiero condivisibile nel merito certo, al quale tuttavia il direttore del Tg La7 non avrebbe dovuto aggiungere la sua ormai tipica stoccata censoria da giudice supremo “se lo avessimo saputo, non avremmo mandato in onda quella parte“. Arrogarsi il diritto di filtrare l’informazione secondo criteri del tutto soggettivi infatti, per un giornalista, resta quanto di più deontologicamente abbietto: specie se la suddetta informazione riguarda il governo del paese.

La bufala sulla ratifica del Mes

Ma se in questa prima gaffe istituzionale, tutto sommato, il Churchill del Tavoliere può essere stato mosso dall’esigenza di sconfessare le bufale dell’opposizione, la musica cambia radicalmente quando è lo stesso premier a sfornare una dabbenaggine macroscopica. Un errore che, vista la carica ricoperta, considerata la professione esercitata prima del rocambolesco ingresso in politica e tenuto conto dei destinatari della sua sfuriata, non può che essere stato strumentale e in malafede.

Secondo Giuseppe Conteil Mes esiste dal 2012” e sarebbe stato approvato da un “governo di centrodestra”, in cui “se non sbaglio Meloni era ministro”: peccato che l’unico elemento corretto sia giusto l’anno di ratifica. Per illustrare rapidamente le numerose inesattezze contenute nell’affermazione sopracitata, ci affidiamo alla dettagliata ed esaustiva ricostruzione pubblicata dall’Agi in un articolo del 12 Dicembre.

Il disegno di legge intitolato “Ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Mes)” è stato presentato in Senato il 3 aprile 2012, due mesi dopo la firma del Trattato… Il voto favorevole di Palazzo Madama è arrivato poi il 12 luglio 2012, mentre l’approvazione definitiva è stata data dalla Camera una settimana dopo, il 19 luglio 2012. All’epoca era in carica il governo tecnico di Mario Monti.

A Montecitorio, come ha tenuto traccia Openpolis, il via libera alla ratifica è stato dato con 325 voti favorevoli, 53 contrari, 36 astenuti e 214 assenti. Tutti i 168 deputati del Partito democratico presenti votarono a favore, così come 83 parlamentari del Popolo della libertà, 30 dell’Unione di Centro e 14 di Futuro e libertà.

La Lega (con Roberto Maroni segretario) fu l’unica a votare contro (51 no), insieme a due voti ribelli all’interno del Pdl (Guido Crosetto e Lino Miserotti). Il giorno della votazione, la futura leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, all’epoca deputata del Popolo della libertà, era invece assente.

Poca chiarezza e tanta inconsistenza

Ma a stupire maggiormente è un paradosso molto particolare. Tanto l’arroganza, quanto gli errori da matita blu, metaforicamente parlando, sono panni che non si fatica affatto a cucire addosso al segretario della Lega. Motivo per cui ciò che risulta stucchevole, a maggior ragione, è proprio vedere il Presidente del Consiglio incensato per una serie di scivoloni “alla Salvini”; scivoloni che, a parti invertite, avrebbero generato disgusto e indignazione.

Conte cambia idee sul Mes ogni due giorni, non fa mai una dichiarazione in linea con quelle del suo ministro dell’economia, parla di condizionalità light (leggere articolo 136 comma 6 del Mes e punto 7 del regolamento 407/2010 per comprendere che razza di sciocchezza sia) e sbaglia di proposito la data di un’importantissima ratifica; poi però, sembra sufficiente che menzioni la “potenza di fuoco” e il “favore delle tenebre“, per vedere l’armata dell’intellighenzia moderata – che da sempre si oppone alla superficialità e all’ignoranza populista – credere di avere di fronte uno statista destinato a riscrivere i libri di storia.

E intanto, mentre le schermaglie tra bulli della politica spostano il baricentro dell’attenzione mediatica, siamo giunti a metà Aprile: gli autonomi non hanno neppure annusato i sussidi di Marzo, gli imprenditori sono costretti a contrarre nuovi debiti (per quanto garantiti dallo stato sempre debiti sono) con le banche sotto forma di prestiti e dagli scranni del PD si inizia a vociferare di patrimoniali. L’unica cosa certa è che la potenza di fuoco del suscettibilissimo Winston, per il momento, non ha sparato nemmeno a salve.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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