Il nuovo giornale online di Enrico Mentana, per gli amici Open, si è auto conferito il rischiosissimo ruolo di “smascheratore di bufale”.
Proclamarsi giudice imparziale e depositario finale della verità di cronaca comporta infatti una responsabilità metodologica che la giovane squadra di Mentana sembra ancora non possedere.
Il vero Giornalista cerca la verità, ma non la possiede
In realtà il vizio di forma sta alla base stessa. Il Giornalista non dovrebbe mai intraprendere il suo lavoro con l’assunto di possedere la verità. Il Giornalista, prima ancora di farsi un’idea su un fatto, deve leggere, deve ascoltare, e deve soprattutto cercare. Tre azioni che tuttavia non si dovrebbero esaurire seduti comodamente sulla poltrona di casa, digitando la parola chiave della propria inchiesta su un motore di ricerca.
Le inchieste, quelle vere, vanno fatte sul campo. Leggere, ascoltare e cercare dunque direttamente sul terreno. Solo quando il Giornalista avrà esaurito queste tre azioni, forse, e ancora forse, potrà avere un’idea della vicenda. Un’idea che non sarà mai la verità al 100%. Saltare uno di questi passaggi fondamentali può portare a sviste, errori o figuracce, come nel caso dei giornalisti di Open.
L’inferno in Libia, torture e maltrattamenti secondo Open
Lo scorso 10 marzo il giornale di Mentana annunciava in maniera trionfalistica uno scoop esclusivo.
“Immagini dall’inferno: ecco come vivono i migranti nei centri di detenzione in Libia”,
questo titolo volutamente sensazionalistico è stato usato per aprire un articolo di “denuncia” contro le presunte condizioni dei migranti in precisi centri libici.
“Open ha ottenuto le immagini e i video girati a Triq al Sikka e in altri centri di detenzione libici, dove i migranti salvati dalla guardia costiera libica vengono rinchiusi e sottoposti a torture”,
così continua l’articolo nell’occhiello. Il verbo al presente non lascia spazio a dubbi. In quei centri menzionati i migranti sono, secondo Open, torturati dalla guardia costiera libica. Per gli esperti del settore salta subito all’occhio come il redattore di Mentana l’abbia decisamente fatta fuori dal vaso.
Non c’è nessuna tortura nei centri citati dal giornale di Mentana
Innanzitutto perché i video, portati come prova delle torture, mostrano semplicemente un grande gruppo di migranti subsahariani all’interno di un centro. Nessuna tortura, nessun maltrattamento appare nel video. Si sente solo un gran vociare da parte dei migranti. Da semplice “acchiappaclick” l’articolo si trasforma rapidamente in una bufala colossale. Quelli che vengono descritti al pari di “campi di concentramento”, (Triq al Sikka, Sebha e Khoms), rientrano infatti tra i centri che sono sotto il diretto controllo dell’agenzia delle Nazioni Unite UNHCR.
Questo significa che, pur non trattandosi di hotel a 4 stelle, sarebbero in realtà di strutture dove regolarmente vengono fatte ispezioni da personale Onu per verificare il rispetto degli standard umanitari minimi. In quegli stessi centri operano poi diverse organizzazioni italiane con iniziative di assistenza ai migranti, finanziate guarda caso proprio dall’Italia.
La svista (o bufala?) di Open è in questo caso decisamente pericolosa. In un momento politico in cui Italia e Libia stanno conducendo complicatissime trattative politiche su diversi dossier, anche un semplice articolo del genere potrebbe mettere a repentaglio il rapporto tra i due Paesi (mettendo a rischio la vita degli stessi migranti). Open accusa apertamente la guardia costiera libica di “torture”, portando come prove quelle che sono in realtà semplici illazioni. Gli smascheratori di bufale dovrebbero in questo caso fare un debunking contro loro stessi.
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