Si è tenuto nei giorni scorsi un vertice informale tra Modi e il suo omologo Xi Jinping. Un incontro con cui India e Cina hanno voluto cercare, principalmente, il punto di equilibrio tra competizione e cooperazione.
Autore: Pierluigi Fagan
C’erano immagini simpatiche da postare, coi due leader in maniche di camicia che chiacchieravano con due noci di cocco con cannuccia in mano. Ma questa scelta poi ha prevalenza simbolica (i simboli sono importanti da quelle parti) per via del pietrone in equilibrio che si vede in secondo piano, ma che forse è proprio il senso in primo piano del vertice.
Del vertice sappiamo che si è tenuto in una località chiaramente simbolica (tralascio i significati, li troverete in vari articoli indiani o cinesi se vi interessano), che è stato apparecchiato tra visite culturali e concerti, che ha avuto i due leader a contatto diretto per più di sei ore, oltre ad esser stato preparato ed accompagnato da fitti incontri tra le voluminose delegazioni. Il tutto è sempre riportato con la dicitura “informale“. Cosa poi si siano detti nello specifico, nessuno lo sa.
Ma forse non è poi così importante.
Ci sono ovviamente diverse questioni in ballo: il Pakistan, il Kashmir, la BRI, gli IDE, le relazioni indo-americane, i confini reciproci e molto altro. Ma l’impressione che gli indiani hanno voluto trasmettere con la gestione informativa dell’incontro, sembra essere nel punto d’equilibrio tra competizioni e cooperazioni, stante però che l’asse mediano è il punto di convergenza che non si ha nessuna intenzione di mettere in discussione.
C’è infatti un punto di puro realismo nella relazione amici-nemici che, nel caso in questione, verte sul significato di “vicino“. Essere l’uno il vicino dell’altro, essere entrambi due mastodonti, essere entrambi in crescita, essere – di fatto – i due cointeressati azionisti di maggioranza del sistema asiatico. Sviluppare il “sistema asiatico” da cui entrambi dipendono è l’interesse comune, stante che poi certo ognuno cercherà di trarne il suo maggior beneficio.
I sistemi in espansione offrono comodi ambienti larghi in cui esternalizzare le tensioni dirette,
fino a che il totale è maggiore della somma delle parti, nessuno dei due giganti si sognerà di tentar di imporre la sua unilaterale egemonia. Forse neanche se e quando l’ambiente comune dovesse giungere al suo apice di sviluppo. L’Asia, infatti, conta anche sottosistemi musulmani e centro-asiatici di origine turcofona, il sinico è irriducibile all’indico e viceversa, tocca con-vivere, vivere assieme.
In più, abbiamo qui a che fare con soggetti millenari quanto a cultura, ma relativamente giovani quanto a moderne potenze. A dire che sbagliano forse coloro che applicano le categorie e le dinamiche storiche provenienti dalla storia occidentale al mondo orientale nel nostro tipico conato universalizzante (una sorta di delirio induttivo). Il mondo orientale ha un suo ben preciso specifico e va osservato con le categorie proprie.
Per il momento, quello che ci mostrano le due potenze asiatiche, è l’applicazione della millenaria pratica della diplomazia.
Nell’antica cultura cinese, il Libro delle Odi (Shijing) – che è uno dei cinque classici confuciani (scritto intorno all’800 a.C. ma con contenuti orali ben precedenti) -, era il linguaggio dei diplomatici. Quando due diplomatici, in conto di due regni o signori, s’incontravano, recitavano l’uno all’altro una delle 305 poesie della raccolta.
A seconda della scelta e della risposta, si sviluppava il dialogo mai diretto e sempre intermediato dal canone comune. Il detto «Il nemico del mio nemico…», invece, pare risalga il mitico Kautilya, un proto-geopolitico ed economista indiano del IV secolo a.C.. Come interpreteranno le “antiche tradizioni” che intessono ciò che con poca considerazione qui da noi gli analisti chiamano “cultura”, i due Paesi-potenze moderne, stante che “moderno” non è un loro specifico culturale originario, è tutto da seguire.
Altri mondi, altri modi? Vedremo…
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