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Ecco come la Cina ha depredato le aziende italiane, nel silenzio dell’Ue

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Nel dibattito tra europeisti ed euroscettici, uno dei principali argomenti di discussione è la presunta garanzia che l’Unione europea avrebbe dato agli Stati membri nella concorrenza con colossi mondiali come Cina e Stati Uniti.

Secondo la vulgata pro Europa, l’attuale configurazione dell’Unione europea, sorta dai Trattati di Maastricht e Lisbona, sarebbe l’unica garanzia per gli Stati del Vecchio Continente per non soccombere di fronte allo strapotere economico delle grandi potenze, tra cui la Cina, gli Stati Uniti, ma anche la Russia, il Brasile e l’India.

Tale assunto poggerebbe tuttavia su una banalizzazione numerica di una materia complessa come l’economia.

Secondo gli europeisti

un elevato numero di abitanti, e di consumatori, sarebbe condizione sufficiente per uno Stato per diventare protagonista dell’economia mondiale. Al contrario i piccoli Stati sarebbero destinati a soccombere. Una tesi che tuttavia non riesce a spiegare la presenza di piccole entità statali in grado di sopravvivere non solo senza particolari problemi, ma anche con un tenore di vita degno di nota. Si vedano i casi dell’Islanda, della Norvegia, della Svizzera (in Europa, ma fuori dall’Ue), così come, guardando a est, il Giappone, la Corea del Sud, Malesia e Singapore.

Allo stesso tempo la tesi non spiega come uno Stato con un tasso di natalità tra i più elevati al mondo, la Nigeria, da anni sia ormai l’eterna promessa mancata dei Paesi in via di sviluppo.

Si tratta dunque di una tesi controversa

che tuttavia viene sostenuta con ardore religioso dal rampollo di Enrico Mentana, sbufalatore de noantri, David Puente. In un articolo pubblicato di recente Puente sostiene che l’Unione europea abbia permesso alle aziende italiane di poter commerciare con la Cina allo stesso livello.

Riceviamo meno di quanto ci spetterebbe? Non risulta corretto parlare dei saldi finanziari senza tenere conto dei benefici derivanti dall’appartenenza all’Unione europea come la possibilità per le aziende di accedere senza barriere a un libero mercato e avere attraverso la stessa un peso contrattuale nei confronti dei colossi internazionali come Stati Uniti e Cina.

Puente casca in una gigantesca trappola e per farvi capire la portata della panzana da lui pronunciata, ecco un’esaustiva lista delle aziende italiane svendute ai cinesi, da quando è nata l’Ue (post Maastricht):

1) Pirelli, venduta alla Chem China nel 2015
2) Cassa Depositi e Prestiti reti, venduta per il 35% ai cinesi nel 2014
3) Ansaldo Energia, venduta nel 2014 alla Shanghai Electric
4) Olio Sagra, venduta sempre nel 2014 alla Yimin
5) Ferretti Yacht, venduta nel 2012 alla Shig-Weichai
6) Krizia, venduta nel 2014 sempre ai cinesi
7) Buccellati Gioielli, passata nel 2017 in mano cinese.

La lista potrebbe continuare. Si tratta di un cimitero senza fine che ha colpito il cuore pulsante della produzione italiana. L’assunto del dogmatico Puente e degli europeisti crolla così come un castello di carte.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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2 commenti

  1. Articolo ridicolo e altamente superficiale

  2. Argomenta, altrimenti e` solo il tuo commento a risultare tale.