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Cronache di una settimana di ordinario mainstream

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Dagli sfottò “discriminatori” contro Conte,  alla narrazione della crisi ucraina, passando per il revisionismo sui gilet gialli. Una settimana complicata per chi si oppone a fake news e disinformazione.

 

La controinformazione non è nient’altro che un organismo funzionale alla propaganda demagogica di populisti e sovranisti: questa, a grandi linee, è la litania che si sente ogni giorno a reti unificate. I cittadini responsabili, vengono quotidianamente messi in guardia di fronte all’escalation di una pericolosa sacca di resistenza mediatica, la quale sarebbe intenzionata a spostare gli equilibri dell’informazione sana e creare il terreno fertile per una rivoluzione culturale, a suon di bufale, teorie del complotto e sdoganamento di idee nocive.

Tutti i grandi organi d’informazione stanno iniziando, pian piano, a rivendicare con orgoglio l’egemonia di cui vengono accusati dalla loro esile concorrenza; quasi come se fosse un male necessario per tutelare la comunità e fornirle un canale sicuro per l’approvvigionamento di notizie sane, imparziali ed ideologicamente non contaminate. Ebbene, perché non fare una panoramica dell’ultima settima? In modo da valutare come il virtuoso ordine della verità garantisce la nostra salvezza.

 

Meli, Giannini e lo spirito della Lega Nord

Il direttore di Radio Capital Massimo Giannini

C’è tanto di quel materiale a disposizione, che viene difficile orientarsi e capire da dove cominciare. Non di certo dall’accurata analisi politologica di Maria Teresa MeliNon so come si usa in Puglia, ma a Roma ci si veste meglio e Conte si veste di merda… Forse in Puglia ci si veste così”. Possiamo derubricare il giudizio della “autorevole” firma del Corriere ad un semplice scivolone dettato dalla sua intolleranza stilistica; anche se il livore territoriale ricorda da vicino la Lega Nord dei primi anni ‘90, più che un’autoproclamata progressista che lotta contro ogni pregiudizio.

Se non altro potrà consolarla il fatto di essere scivolata in buona compagnia. Anche il collega Giannini infatti, direttore di Radio Capital, penna di Repubblica ed altra prestigiosa freccia nell’arco del giornalismo liberal ha dimostrato come il governo gialloverde stia facendo risorgere un certo sentimento antimeridionale, laddove non era umanamente preventivabile “Conte è un pugliese levantino che quando parla non si capisce”. All’anima dell’aplomb che caratterizza il giornalismo d’ispirazione anglosassone: quello che per anni ha preteso di impartire lezioni di stile ed eleganza ai colleghi più scafati.

 

La minimizzazione dei gilet gialli

Le rudimentali barricate dei gilet gialli sugli Champs Elysees

Tralasciando certe inezie, sarebbe più utile concentrarsi sulla gestione delle notizie che arrivano dal versante internazionale. Quella appena trascorsa è stata una settimana decisamente movimentata, specie per ciò che concerne le proteste dei gilet gialli contro il caro benzina in Francia. Una manifestazione trasversale, con una partecipazione oceanica -hanno aderito pressappoco 250mila dimostranti in tutto il paese- durata diversi giorni e che ha causato 106 feriti e due morti; bilanci e modalità che ricordano il tumulto di San Martino del 1628 descritto da Manzoni e non certo le manifestazioni occidentali contemporanee. Eppure, un evento di portata così eccezionale è stato trattato con cautela, talvolta conferendogli un’importanza secondaria, ma soprattutto con un diffuso scetticismo sui numeri e sulla natura politica dei partecipanti.

“Intrusioni fasciste”, “poche adesioni, ma molto rumorose”, “strumentalizzazione politica”. Queste sono solo alcune delle etichette revisioniste che sono state affibbiate per sminuire un movimento popolare e spontaneo, sostenuto, oltreché dalla Le Pen, anche dalla sinistra di Melenchon, dai sovranisti di Dupont-Aignan e dai repubblicani di Wauquiez.

 

Eppure Piazza Castello…

Bizzarro come una stampa che ha osannato le 30mila unità di Torino (trasformandole in 40mila e poi 50mila, neanche Piazza Castello fosse il Gran Canyon), le quali non lamentavano certo condizioni di malessere e disperazione economica, ora sia così refrattario di fronte ad una manifestazione popolare, portatrice delle istanze degli ultimi e dei disagiati: quelli che non hanno tempo per preoccuparsi del futuro, a causa della qualità del loro presente.

Viene da chiedersi come si sarebbe comportata se, per pura ipotesi, gli stessi incidenti fossero stati provocati da una protesta femminista a Washington, magari in aperto contrasto con la retorica sessista di Trump. Oppure, cosa sarebbe successo se dei tafferugli di entità decisamente più lieve, fossero stati l’epilogo della contestazione moscovita di un partito russo minore ed oppositore di Putin?

 

Non è tutto Putin quel che spara

Restando in tema di politica estera, anche la narrazione della tensione russo-ucraina dopo gli incidenti nel Mar d’Azov sta destando qualche perplessità. Ormai è ampiamente acclarato come il leader del Cremlino sia considerato la personificazione di ogni bestemmia infernale, ma con tutti i fior fior di esperti di geopolitica che bazzicano le redazioni dei grandi rotocalchi, come è possibile che la ricostruzione più elementare non sia predominante? Come è possibile che non emerga il carattere strumentale della vicenda, di fronte ad un presidente (golpista) fortemente sfiduciato, il quale invoca la legge marziale -e le sue conseguenti limitazioni nella libertà di stampa e di manifestazione- a pochi mesi dalle elezioni?

Il presidente ucraino Petro Poroschenko

Specialmente dopo le confessioni dei tre marinai ucraini catturati dai servizi di sicurezza russi

“Il 23 novembre ho ricevuto l’ordine di seguire la rotta Odessa-Mariupol, attraverso lo stretto di Kerch. Seguendo la rotta per Mariupol attraverso lo Stretto di Kerch siamo entrati nelle acque territoriali della Federazione Russa, quando la Guardia Costiera russa ci ha avvertito che stavamo violando la legislazione della Federazione. Ci è stato ripetutamente detto di lasciare le acque territoriali russe…ho consapevolmente ignorato le loro richieste via radio. Al momento del passaggio avevamo a bordo armi leggere e mitragliatrici con munizioni. Ero consapevole che le azioni delle navi ucraine nello stretto di Kerch avevano un carattere provocatorio…Prima che venisse aperto il fuoco, abbiamo visto due razzi verdi. Siamo andati avanti con la “Nikopol” e poi le navi russe ci hanno contattato”.

 

Tanto Gattuso e poca Siria

Una settimana niente male per i custodi dell’informazione genuina, nonché unico argine alla propaganda populista. Non c’è che dire. Una settimana nella quale, se non fossero stati impegnati a trasformare Gattuso nel Che della resistenza antileghista, avrebbero potuto dedicare un po’ più di spazio al vile attacco chimico (107 tra feriti ed intossicati) perpetrato ad Aleppo dai terroristi qaedisti, alias ribelli moderati.

Se non altro, un fatto di cronaca che meriterebbe almeno la stessa visibilità concessa all’analogo episodio di Aprile, che provocò i moti d’indignazione di Saviano, Littizzetto, Volo, Boldrini and co. Con la presenza di due sottili differenze: i jihadisti sono i carnefici e l’attacco rischia di non rivelarsi una gigantesca fregnaccia.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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