La ricerca e l’adozione del vincolo esterno – rappresentato dallo SME prima, e dal trattato di Maastricht e dall’euro poi – ha sempre penalizzato la domanda aggregata italiana.
di Gilberto Trombetta
Soffermandosi sull’aspetto strettamente monetario, lo ha fatto imponendo un tasso di cambio effettivo reale (REER) palesemente sopravvalutato per il nostro Paese.
Secondo dati del Fondo Monetario Internazionale, il tasso di cambio reale dell’Italia, tra il 2000 e il 2007, è stato sopravvalutato del 30,4% rispetto a quello della Germania. Vuol dire che le merci italiane costano un terzo in più di quelle tedesche a parità di altre condizioni.
Esportiamo di meno insomma. Quindi produciamo di meno. E infatti se si vanno a comparare i dati, viene fuori che la Germania negli anni Novanta (1991-1999) esportava in media merci per 7,3 miliardi di euro l’anno, mentre l’Italia per 26,1 miliardi. Più del triplo.
Con l’adozione dell’euro i numeri sono cambiati clamorosamente.
La Germania ha infatti esportato in media merci per un valore di 165 miliardi l’anno negli ultimi 20 anni (2000-2019), mentre l’Italia per 21 miliardi. Quasi 8 volte di meno.
E se l’export italiano è ancora in attivo lo si deve principalmente all’insensata guerra ai consumi interni. Cioè alla guerra contro i salari dei lavoratori italiani. Non a caso negli anni Novanta, con la misera liretta, la produzione industriale italiana è cresciuta del 13%, mentre quella tedesca del 3%.Come non è ovviamente colpa del destino cinico e baro se dopo l’adozione dell’euro (2000-2018) la produzione industriale tedesca è cresciuta del 27% mentre quella italiana è crollata del 17%.
Questo per andare dietro a un vetusto modello basato sull’export che impoverisce sia i lavoratori, sia il Paese nel suo insieme, legando l’economia mani e piedi all’andamento del commercio globale.
Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni
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