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Pirandello: io e i loro “centomila” me

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nel giorno della nascita di Luigi Pirandello ricordiamo una delle opere più famose: Uno, nessuno e centomila.

Luigi Pirandello è nei cuori di molti lettori e appassionati di letteratura. Ci sono diversi motivi, uno può essere la questione della maschera. Pirandello la descrive in questo modo:

«la maschera soffocante che da noi stessi ci siamo imposta o che da altri o da una crudele necessità ci sia stata imposta».Maschera che è una trappola per la vita, un fluire che non può stabilizzarsi dentro un forma, pena l’aridità e la morte.

E questo concetto è al centro di una delle sue opere più famose: Uno, nessuno e centomila.

Al protagonista, Vitangelo Moscarda, un giorno la moglie fa notare il naso leggermente storto. Da quel momento in poi Vitangelo arriverà pian piano a scoprire una grande verità: le altre persone non vedono ciò che noi pensiamo di essere, bensì vedono ciò che loro pensano che noi siamo.

Una verità che potrebbe sembrare banale: sotto gli occhi di tutti. Ma proprio perché così esplicita, la sua rivelazione nell’opera pirandelliana diventa geniale.

La riflessione porta poi a rendersi conto di non essere solo “uno”, ma “centomila” in base alla forma che assumiamo per le altre persone. E a questo punto la crisi d’identità è a un passo: diventiamo “nessuno”, senza un Io saldo, perché chi siamo? L’ “uno” che noi crediamo di essere, o l’ “uno” di quel tale nostro amico, di quell’altro, della nostra compagna etc? E non c’è possibilità di sincronizzare il nostro “uno” su quello degli altri, né distruggere i “centomila” noi stessi, perché in fondo «quel che siamo, non lo sappiamo, fino a un certo punto, neanche noi stessi».

Luca V. Calcagno

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Di Redazione Elzeviro.eu

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