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Gli adesivi che paralizzano l’informazione

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Nello stesso paese in cui il Senato ha appena approvato in via definitiva l’ennesima legge elettorale dal nome goffamente classico (posponendo addirittura il “bis”) e nello stesso strampalato paese in cui il Governo ha annunciato che si adeguerà alla riforma Fornero, innalzando così la soglia della pensione legale e punendo questa bislacca trovata degli anziani nostrani di aumentare la loro aspettativa di vita, è Anna Frank a paralizzare il mondo dell’informazione.

Da un paio di giorni a questa parte, ogni lettore o telespettatore che si rispetti, è stato tenuto in ostaggio dal sistema mediatico italiano, il quale ha colto l’occasione per confermare il suo macabro gusto per la polemica catacombale, a discapito di una cronaca fresca ed attuale. Per chiunque desiderasse un aggiornamento sugli eventi di cui sopra, bramasse ogni tipo di notizia riguardo la schiacciante vittoria di Abe nelle elezioni del Sol Levante o fosse interessato a rintracciare evoluzioni concernenti la crisi diplomatica tra USA e Corea del Nord (sì, quella faccenda di quart’ordine che sta tenendo il mondo con il fiato sospeso), il dazio è stato obbligatorio e senza possibilità di appello.

L’impero dell’informazione, come il più austero ed intransigente dei casellanti, ha imposto il pedaggio da pagare, costringendo chiunque ad ascoltare le solite giaculatorie per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della Shoah (e passi), estratti del celebre Diario (e passi) e persino opinioni e valutazioni di carattere storico di allenatori e giocatori della Serie A (questo passa decisamente meno). Ferma restando l’essenza truce dell’umorismo utilizzato dai sostenitori laziali, che esattamente come i cugini giallorossi sono soliti schernirsi a vicenda attribuendo alla fazione opposta di appartenere alla comunità ebraica, prima di soffocare 60 milioni di persone con manifestazioni di indignazione sarebbe opportuno riflettere sulla necessità di questo polverone.

Senza voler utilizzare questa sede per analizzare la bizzarra gerarchia di gravità dell’insulto adottata dalla procura federale (e talvolta ordinaria) per punire gli sfottò negli stadi, basta limitarsi a riconoscere quelle situazioni nelle quali un gesto di discriminazione, di ogni sorta, sia veicolato con un mezzo così potente da possedere le carte in regola per giungere indisturbato ad un vasto numero di destinatari, rischiando di ledere, di conseguenza, la sensibilità altrui alla luce del sole. E’ il caso, ad esempio, di uno striscione esposto in curva, o di un coro scandito a squarciagola. Tutte situazioni nelle quali, con criteri paritetici e senza gli ormai consueti doppiopesismi, le prese di distanza istituzionali, le indagini e le campagne di sensibilizzazione possono apparire logiche, se non inevitabili. Assai più faticoso trovare analogie con quanto accaduto nella curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma domenica sera, durante Lazio-Cagliari.

Sì, perché tutto questo stato di catalessi mediatica con la quale siamo costretti a convivere da giorni, è dovuto ad una decina di adesivi, come già sottolineato, tutt’altro che british, incollato sulle pareti e sui mancorrenti del settore abitualmente frequentato dai tifosi romanisti. Non esattamente un’onda anomala, ma qualcosa di agevolmente arginabile con l’ordinaria prestazione degli addetti alle pulizie negli istanti successivi alla gara. Viene da chiedersi perciò, se lo strumento di tutela migliore in casi simili non sia quello di stroncare alla radice il veicolo della discriminazione prima che si alzi un polverone di tal fatta, così come viene conseguenzialmente da domandarsi se questa sproporzionata baraonda non sia in realtà frutto di un malizioso atto di strumentalizzazione della premiata ditta istituzioni-media per riesumare il dibattito sulla legge Fiano. I tempi ed il recente appiattimento dell’audience relativo alla proposta di legge che porta il nome del deputato del PD, suggeriscono come questa ipotesi non possa essere facilmente derubricabile a congettura complottistica.

Una dedica “hai fratelli ebrei”, da parte di uno sgrammaticato presidente Lotito. La sua corona di fiori è stata gettata nel Tevere dopo una registrazione a lui attribuita “famo ‘sta sceneggiata”, avrebbe detto.
Un capitolo a parte lo meriterebbe anche il presidente biancoceleste Claudio Lotito, che in queste ore, tra registrazioni audio compromettenti, grossolani errori grammaticali e difficoltà a distinguere una sinagoga da una moschea, si sta candidando seriamente per un’impresa francamente impronosticabile: sottrarre ai suoi stessi tifosi la palma del più odiato dalla comunità ebraica, romana e non. Insomma, solo l’ultimo ed il meno rilevante, tra tutti i motivi per i quali avremmo potuto e voluto fare a meno di questa storia inutile. O meglio, non necessaria.
Filippo Klement
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