La copertina di Charlie Hebdo nel mirino di imam e vescovi

Un anno dalla tragedia di Charlie Hebdo.

Oggi a Parigi il presidente Hollande ha inaugurato una targa affissa sulla redazione massacrata di del giornale satirico. Imbarazzo totale nel constatare che uno dei nomi dei vignettisti martirizzati sull’altare della libertà d’espressione è stato inciso sbagliato.
Come possono, vescovi e imam, prendersela tanto per la copertina di Charlie Hebdo, giornale satirico senza mire fisse, ma che si schiera con irriverenza totale contro, tra le molte cose, le religioni?

Il giornale persiste coraggiosamente nella sua linea editoriale, e chi vi disegna e scrive non è certo appagato da fama e gloria, dal lavorare nella rivista con più abbonati al mondo nel 2015, né pago di avere ottenuto una nuova sede gratuita e spaziosa dal governo francese. No, perché la redazione è stata decimata nel sangue, la libertà d’espressione azzoppata, e sul territorio imam e vescovi, nonostante la scarsa rilevanza di questi ultimi a favore del prolifico islam, danno contro alla rivista come se fosse questa la colpevole della violenza.

Charlie Hebdo ha svelato la vera natura delle religioni per come vengono interpretate nell’era moderna: una valvola di sfogo, nella maggior parte dei casi ereditata dagli ascendenti e non scelta consapevolmente. Un luogo dove, attraverso bassezze evidenti o sottese, l’individuo pensa di realizzarsi mentre vomita lo stress di una società che si basa sulla gara del consumo.

Non è accettabile chi fa discorsi, anche molto elaborati, che vogliono arrivare a dire “se la sono cercata”. Perché combattere i fanatismi insiti nelle religioni, e combattere le religioni stesse è una battaglia che può essere condivisibile o meno, ma una battaglia che si invera sulla carta, e non con le forti pressioni mediatiche che constatiamo oggi leggendo le notizie, né con le violenze, più o meno fisiche, come quelle che operano le maggioritarie religioni in questi ultimi secoli con alterne fortune.