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Nuovi italiani, da borghesi medi a precari proletarizzati

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Centocinquant’anni di mutamenti storici e sociali in via di dissolvimento.

Stiamo assistendo, con il passare degli ultimi anni, alla proletarizzazione della classe media, quella classe media che ha occupato un ruolo da protagonista negli ultimi quarant’anni della storia nostrana, quegli anni successivi all’immediato dopoguerra che videro un boom di crescita economica senza precedenti e che videro emergere con essi gli usi e i costumi della società borghese post-moderna.

E’ incredibile come in 150 anni di storia la società e la popolazione del Belpaese abbiano attraversato diverse e rapidissime fasi di mutamento ed è ancor più incredibile come oggi, nella società globale e con l’accentuarsi della sua crisi, di questi 150 anni resti quasi poco e nulla; dall’Italia agricola e lavoratrice (o proletaria) emersa tra il periodo post-unitario e il periodo tra le due guerre fino allo Stivale dominato in buona parte dalla figura del borghese medio degli anni ’70-’80. Figura, quest’ultima, sorta dall’imborghesimento dell’Italia lavoratrice dell’immediato dopoguerra, fino a giungere all’avanzata odierna dell’Italia “precaria e dis/inoccupata”. Parliamo delle nuove classi sociali che stanno emergendo alla ribalta della società borghese in declino: della società globale odierna.

Cosa rimane, sia in senso economico che in senso antropologico, di questi 150 anni di storia italiana? Poco e nulla, se non le notizie quotidiane sempre ripetitive dei dati sull’occupazione e sulla disoccupazione, sull’impoverimento del ceto medio e delle famiglie (vero cuore dell’economia e della società del Belpaese) e sulle prospettive, sempre più grigie quasi da divenire nere, sul futuro delle prossime generazioni. Il ché dà molto da riflettere su come il nostro paese abbia affrontato, da 20 anni a questa parte, la globalizzazione, la quale bene non si sa se definirla come una “prova” oppure una “sfida”. Qualcuno si ricorda quando fino a 15 anni fa si sentiva ovunque parlare della entusiasmante sfida della globalizzazione che il nostro paese si apprestava ad affrontare con sorriso e fiducia? Ebbene, a 15 anni di distanza si può dare un quadro più che netto, parziale o meno, su questa sfida.

Fino a mezzo/un secolo fa eravamo un’Italia umile, ma non povera, perchè la povertà non è solo di materia ma anche di spirito e l’italiano di 50-100 anni fa era un soggetto che, pur non navigando nell’oro e non vivendo agiatamente, viveva dignitosamente spaccandosi quotidianamente la schiena con il lavoro. Da zero a cento nel giro di un secolo, dall’Unità d’Italia agli anni del boom economico, per poi incredibilmente regredire tornando molto vicini, sopra o sotto, lo zero del punto di partenza (ciclicità della storia, qualcuno ha presente?).

In sintesi? La sintesi, piaccia o non piaccia, è che: il mercato dà e il mercato toglie, cari signori, e se non ne si è consapevoli si è destinati a subire gli eventi. Ci si può anche imborghesire, passando da umili a benestanti, ma se si fa tesoro della propria esperienza di umiltà, non si perde di vista e non si rinnegano le proprie origini, i propri principi, il proprio substrato culturale, la propria etica e si resta consapevoli che ciò che si possiede e che si accumula non rende migliori. Allora si può anche tornare umili all?improvviso che, in tutta tranquillità, non si subiranno mai gli eventi, non si perderà mai la lucidità e si saprà sempre vivere e stare al mondo. Francamente, a livello umano, non ci si può che dispiacere per il ceto medio in fase di impoverimento, ma è anche vero che una grande fetta di questo ceto è rapresentato dagli stessi che prima della crisi vivevano sopra le proprie possibilità con 1000 euro/mese, ìfacevano debiti e finanziamenti per comprarsi l?abbigliamento firmato, facevano la fame tutto l?anno per godersi due settimane da signori in vacanza chissà dove, esattamente come quelli che ancora oggi si indebitano e rinunciano ai beni di prima necessità e ad una vita dignitosa pur di comprarsi l?ultimo I-Phone uscito (“quest’anno ho avuto fame, ma per due settimane ho fatto il ricco a Porto Cervo!” cantavano gli Articolo 31 qualche anno fa).

Gente che si è arricchita nei decenni e che poi, appena visto un po? di benessere, ha perso la lucidità e ora a causa gli eventi vive in preda a crisi esistenziali e di identità perchè non sa più in cosa o come riconoscersi, essendo abituata a vivere al di sopra delle proprie possibilità oltre all’apparire più che all’essere, in quanto abituata a farlo, pur non potendoselo più permettere. Tutto ciò si traduce spesso in benzina sul fuoco, tensioni sociali e casi di isteria di massa quotidiani (leggiamo i fatti di cronaca sui giornali: violenza domestica, suicidi? non ultimo il caso delle baby-squillo). Umanamente, ribadiamo, non ci si può che dolere per costoro, ma si tratta di persone che non hanno saputo fare tesoro delle proprie vite e delle proprie esperienze, rispecchiando una natura umanamente vuota e culturalmente pigra: il famoso appellativo in senso spregiativo dell'”italiano medio“, e che vista la propria caratura minima, sarà sempre più destinata a subire il corso degli eventi.

Ario Corapi 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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