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“Partecipo al Bilderberg e me ne vanto!”, l’arrogante outing del Vicedirettore del Fatto

Il Vicedirettore del Fatto, Stefano Feltri

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Come ogni anno la riunione del Club Bilderberg sta alimentando polemiche sulla legittimità della partecipazione di alcuni esponenti della politica e della carta stampata italiana.

Tale riunione annuale, che quest’anno si terrà nella svizzera città di Montreux dal 30 maggio al 2 giugno, ha avuto nel tempo il potere di stimolare le più svariate teorie su un non meglio specificato potere politico occulto. Alcune decisamente molto stravaganti, altre ragionevolmente condivisibili.

Il defunto miliardario David Rockfeller, fondatore del Club Bilderberg.

Perché per quanto coraggioso sia stato il lavoro del giornalista lituano David Estulin, massimo esperto sul Club Bilderberg, questo ha, purtroppo, alimentato intorno alla riunione, una narrazione complottarda, spesso ai limiti della fantascienza, screditando di conseguenza quelle critiche invece più che legittime. Per esempio sarebbe potuto emergere con più chiarezza come tale riunione, organizzata annualmente dal 1947, non faccia altro che raccogliere una cricca di multimialiardari annoiati il cui obiettivo è, tra gli altri, quello di mettere in secondo piano la “res politica” rispetto all’economia.

La segretezza dell’incontro

le misure di sicurezza decisamente eccessive e l’invito ai partecipanti a non divulgarne i contenuti non sono indizi di un presunto complotto per dominare il mondo. Si tratta, invero, della rappresentazione plastica del sentimento di disprezzo che certe élites, dall’alba dei tempi, provano per l’esercizio democratico della politica. Tant’è che le idee espresse all’interno del Club (libero mercato, apertura delle frontiere, eliminazione degli Stati nazionali) stanno venendo sonoramente bastonate ad ogni nuova tornata elettorale.

Proprio per questo motivo risulta davvero difficile considerare legittima la partecipazione di giornalisti all’interno di questa riunione, a meno che non lo facciano per divulgarne i contenuti.

Non è questo il caso del Vicedirettore del Fatto Quotidiano

Stefano Feltri che, non solo parteciperà al meeting, ma ne rivendica la scelta con un articolo di autodifesa.

Faccio il giornalista, quindi sono curioso, mi interessa partecipare a un evento di cui tanto si discute e che riunisce personalità che qualunque giornalista vorrebbe avvicinare. Una delle cose interessanti del Bilderberg, che mi pare leggermente diversa rispetto alle regole di ingaggio della Trilateral, è che tutti partecipano a titolo personale, non come rappresentanti delle rispettive istituzioni.

Cosi tenta di salvarsi Feltri, finendo in un evidente vicolo cieco logico.

Non capiamo infatti se Feltri partecipi al Bilderberg perché interessato in quanto giornalista oppure vi prenderà parte a titolo personale?

La differenza non è solo semantica, ma sostanziale. Perché ciò che emerge dal codice deontologico professionale è la natura del giornalismo come “servizio pubblico”, il cui scopo diventa quindi quello di informare la cittadinanza su qualsiasi tema che possa essere rilevante per la sua esistenza. L’omissione dell’informazione equivarrebbe, deontologicamente, alla diffusione di fake news (vi ricordate Fubini e la notizia non data dei 700 bambini greci morti?). Ecco che la difesa adottata da Feltri crolla come un castello di carte, di fronte all’evidente conflitto di interessi che la sua partecipazione al Bilderberg comporta.

Lilli Gruber, Matteo Renzi, Stefano Feltri e John Elkann sono gli italiani che parteciperanno al Bilderberg 2019

Il Vicedirettore del Fatto non racconterà ai suoi lettori

quanto avrà modo di ascoltare al Club? Bene. Ci chiediamo allora come potrebbe comportarsi lo stesso Feltri qualora, durante l’esercizio della sua professione, venisse a conoscenza di informazioni riservatissime, ma altrettanto importanti per l’informazione dei cittadini, come per esempio è stato il Watergate e i più recenti Wikileaks e Datagate. Seguendo il suo ragionamento, si dovrebbe dare la precedenza alla riservatezza della notizia piuttosto che alla sua utilità pubblica. Insomma, bisognerebbe procedere senza esitazione all’insabbiamento delle informazioni.

La domanda spontanea che viene quindi da porre e Feltri è: perché scegliere di continuare a fare il giornalista? Se il Vicedirettore del Fatto predilige l’interesse personale per il Bilderberg, piuttosto che la diffusione di informazioni di pubblico interesse, che appenda pure la penna al chiodo. Senza quella gravosa responsabilità di dover rendere conto ai propri lettori di quanto si ascolta e si legge, potrà partecipare tutte le riunioni private, confidenziali e segrete che ritiene opportune.

 

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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2 commenti

  1. Pier Giorgio Francia

    Questo Feltri che pesce è? Ma si sa l’arrivismo non cerca consensi.
    Se vuole continuare a fare il giornalista e, non il giornalaio, modifiche le sue vedute deontologiche e culturali.

  2. Vorrei sentire Marco. Travaglio cosa né pensa delle motivazioni fornite da Feltri…