Dopo le ingerenze internazionali che in passato hanno frenato ogni tentativo di emancipazione e dopo anni di sterile dibattito pubblico a trazione moralistica, la pedissequa obbedienza al fronte anti-russo sancirebbe l’ennesimo – e forse definitivo – atto di autolesionismo energetico da parte del nostro paese.
di Paolo Desogus
Da questa vicenda del conflitto con la Russia ne stiamo uscendo con le ossa rotte. Non solo perché l’Italia non ha alcun interesse a seguire gli americani in questa assurda campagna ucraina, ma perché, molto più prosaicamente, assistiamo in queste settimane all’impennata dei costi energetici, i cui effetti toccano in maniera significativa il bilancio delle classi a reddito basso.
Più precisamente con il progetto del South Stream (nella speranza di trasformare la penisola nell’hub del gas europeo, anche attraverso gli attuali gasdotti), congiuntamente al progetto di costruzione di alcuni rigassificatori, che avrebbero consentito di differenziare le importazioni.
Questo piano è miseramente fallito per le numerose pressioni internazionali, soprattutto europee.
Ai tedeschi non andava proprio giù che il nostro paese potesse assumere un ruolo strategico così importante e sono riusciti a imporre la costruzione del loro gasdotto.
Al fallimento ha poi contribuito la scarsa coscienza del problema energetico e una bizzarra concezione della geopolitica. Soprattutto a sinistra non si parla mai di energia se non in termini velleitari e sconclusionati, alieni da qualsiasi riflessione sulla funzione dell’industria e dello sviluppo. Tutta la discussione sull’energia finisce nel calderone di un ambientalismo di facciata, dai toni moralistici e infantili.