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La morte di Adil Belakhdim e l’ipocrisia della retorica dell’accoglienza

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La morte del sindacalista Si Cobas Adil Belakhdim dimostra come dei cosiddetti migranti, degli stranieri o delle minoranze, non importa nulla se questi fanno parte di coloro che combattono per giusti diritti sociali.

 

I telegiornali ne hanno parlato il meno possibile, come se fosse solo una spiacevole fatalità, e non si sono neanche azzardati a approfondire determinate tematiche; gli influencer giusti al massimo hanno postato una foto tanto per seguire il trends di Google e beccare qualche click; i vari santoni delle migrazioni si sono voltati dall’altra parte.

La CIGL stava fuori dall’ambasciata iraniana per protestare contro i brogli elettorali (ed è tutto dire). Questo perchè Adil Belakhdim non era più un migrante, una “risorsa”, ma un lavoratore regolare stanco di essere sfruttato.

Un proletario che si ribella alla catena di soprusi sociali su cui si basa il dumping salariale, ma soprattutto uno dei tasselli fondamentali su cui si base la grande distribuzione, il commercio on line, e tutto quel mondo su cui si cerca di fondare una nuova economia di consumatori poveri chiusi dentro i loro cubicoli a ordinare dal telefonino: era un lavoratore della logistica.

Quel settore in cui ormai si consuma il grosso dello schiacciamento dei diritti e dei salari dei lavoratori, quel settore su cui i grandi filantropi delle super multinazionali esentasse applicano tutte le leve di riduzione dei costi, quel settore che smaschererebbe anche tutte le ipocrisie sulla transizione ecologica e altre amenità buone solo per le anime belle.

Nessuno si è fermato ad analizzare le loro storie, nessuno si mosso per fare del vero giornalismo, produrre inchieste, smascherare il marcio. Anzi se si guarda il grosso dei giornali e telegiornali allineati, ne hanno parlato quasi come fosse una seccatura, un pratica da sbrigare velocemente, un fatto su cui sarebbe meglio distogliere lo sguardo quando prima.

Come la protesta dei lavoratori di GLS anni fa, questo tipo di lotte, portate avanti quasi sempre da immigrati regolari, non vengono mai inserite all’interno delle lotte per i “diritti” degli immigrati. Allo stesso modo di quelle dei lavoratori del settore primario sfruttati da coop e caporali.

Perché queste sono battaglie scomode al sistema, toccano i nervi scoperti su cui lor signori speculano e su cui si distrugge la domanda interna di questo paese. Ed è proprio a causa loro che servono sempre altre risorse da importare.

Bisogna che ci sia sempre qualche altro disperato ancora più disperato, pronto a sostituire questi “ingrati” che non gioiscono delle grandi vittorie dell’accoglienza pelosa delle coop, ma addirittura pretendono lavoro dignitoso e giusti salari. Mamma mia che orrore!

P.S.: Se non ci fosse stata questa tragedia, secondo voi avreste mai sentito parlare delle proteste dei Si Cobas negli organi d’informazione generalista?

di R.I.

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