Dopo la dipartita del suo storico amministratore delegato (Sergio Marchionne), sembrava che le vicende legate a Fiat, oggi Fca, fossero diventate improvvisamente di secondo piano.
E invece così non possono essere, complice il ruolo da protagonista, spesso discussa, che tale azienda, divenuta multinazionale, ricopre all’interno del tessuto economico italiano. Ecco che le recenti dichiarazioni del nuovo amministratore delegato, Mike Manley, hanno levato un certo polverone.
La Fiat vuole rivedere al ribasso i suoi investimenti in Italia
“Con ecotassa il piano di investimenti in Italia va rivisto”
ha dichiarato il numero uno di Fca durante l’autoshow recentemente organizzato a Detroit, ormai seconda (o forse prima) casa dell’azienda. Ciò che Manley intende dire con il prudente verbo “rivedere”, è in realtà una drastica riduzione degli investimenti in Italia previsti per il triennio 2019-2021.
Per questo periodo erano infatti stati preventivati circa 5 miliardi di euro che Fca avrebbe destinato, tra le altre cose, anche per nuove assunzioni. Il nodo della discordia tra Fca e Governo starebbe proprio nell’inserimento dell’ecotassa per suv e auto di lusso all’interno della manovra finanziaria 2019.
Che cos’è davvero l’ecotassa?
Occorre però sottolineare come tale ecotassa sia un provvedimento frutto di una negoziazione già al ribasso tra le due parti politiche, Lega e Movimento 5 Stelle. Questa ammenda, come ricorda il The Post International:
“riguarderà infatti solo su auto molto costose e con emissioni con 20 punti in più rispetto alla norma originaria. La norma originaria prevedeva che sopra i 110 grammi di CO2 per chilometro si dovesse pagare una cifra fissa che partiva da 150 euro per le vetture fino a 120 g/km e che saliva progressivamente fino ad un massimo di 3.000 euro per le auto che emettono oltre 250 g/km. L’ecotassa ora funzionerà così: dal primo marzo 2019 alla fine del 2021 la tassa ammonterà a 1.100 euro per emissioni tra 161 e 175 g/km, 1.600 euro fino a 200, 2mila euro fino a 250 e 2.500 sopra i 250 g/km”.
Eppure, nonostante questo compromesso e l’elasticità della tassa, Fca avrebbe già deciso di tagliare parte dei suoi investimenti. Scelta legittima?
Gli attori privati possono mettere sotto scacco un intero Paese?
Per rispondere occorrerebbe riflettere su che tipo di ruolo si vuole conferire alle aziende private all’interno di una più ampia comunità. Un ruolo che richiederebbe responsabilità e saggezza per evitare quelle socializzazioni dei rischi d’impresa che si verificano con troppa regolarità. Soprattutto quando sono accompagnate da un’eccessiva privatizzazione dei profitti.
Ricordava per esempio il Fatto Quotidiano di come Fiat avesse ricevuto dallo Stato italiano ben 7,6 miliardi di euro dal 1977 e che solo parte di questi fossero poi stati effettivamente reinvestiti nel tessuto produttivo italiano.
I sindacati sono ormai il braccio destro dei padroni
All’interno di questa diatriba tra Stato e privato, la parte dei giullari la recitano però i sindacati che, ancora una volta, dimostrano la loro completa inefficienza nel proporre concrete possibilità di negoziazione, oltre che un’ambigua connivenza con quello che una volta veniva definito “padrone”.
Tutte le sigla sindacali sono infatti unite, non per il futuro a rischio dei lavoratori, ma per “riconoscere le motivazioni di Fca” e ribadire che
“la cosiddetta ‘ecotassa’ inserita nella legge di bilancio ha dato il suo primo effetto, e non sull’ambiente, ma sul piano triennale di cinque miliardi di investimenti di Fca annunciato lo scorso 30 novembre”.
Insomma, pare che i sindacati si siano improvvisamente trasformati nell’avvocato difensore di Fca, come se ne avesse bisogno, per perseguire una personale battaglia ideologica contro il Governo. Dichiarazioni del genere sono davvero da mani nei capelli per i lavoratori, il cui futuro non compare evidentemente più tra le rivendicazioni sindacali.
Prima viene l’opposizione al Governo con tanto di strizzatina d’occhio al “padrone”.