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Russia, propaganda e adolescenti. Parte 1: Olga

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Sulla scia dell’entusiasmo generato da Greta, l’Occidente ha adottato un’icona adolescenziale anche per la sua crociata anti-Putin. Lo sdegno per il suo arresto però, mal si concilia con il sentimento di indifferenza mostrato verso la repressione di Macron.

 Da qualche giorno a questa parte, è possibile riscontrare un sottile filo rosso che lega il governo di Vladimir Putin a due eclatanti casi di attivismo adolescenziale. Il primo di questi, ovvero quello che concerne Olga Misik, è senz’altro quello più evidente, o quantomeno, quello laddove il collegamento risulta diretto ed immediato. La diciassettenne russa infatti, come qualsiasi cittadino mediamente informato saprà, si è guadagnata lo status di nuova beniamina di quel minestrone che potremmo definire movimento global-umanitario.

In un periodo in cui le novelle Rosa Luxemburg prive di capacità di agire spuntano come funghi, la giovane liceale è assurta al ruolo di icona della rivolta contro il “leviatano” del Cremlino, tramite un particolare sit-in individuale; una volta adagiate le terga sull’asfalto, è stata data lettura degli articoli 3, 29 e 31 della costituzione federale, riguardanti sovranità popolare (che ultimamente ai progressisti pareva essere indigesta), libertà di parola e di assemblea, prima di essere portata via dai poliziotti, primi destinatari della sua omelia.

Due pesi e due misure

A prescindere dalla condizione di generico scetticismo, generata ogniqualvolta un adolescente venga utilizzato come testimonial di grandi istanze popolari, il moto di indignazione levatosi in occidente è senz’altro singolare. Certo, vedere una minorenne trattenuta da agenti in tenuta antisommossa, perdipiù durante una manifestazione pacifica, non può lasciare indifferenti nemmeno i cuori più coriacei: non si discute.

Eppure, quegli stessi cuori coriacei, non avranno avuto difficoltà a notare come quel sentimento di disgusto ed intolleranza verso la repressione perpetrata degli sgherri putiniani, mal si concili con uno stato d’animo ben più autoritario. Nello specifico, quel sentimento di indifferenza – tipico delle disgrazie ineluttabili – che gli stessi politici, gli stessi media e gli stessi attivisti dal volto umano, hanno riservato alla coercizione belluina che contraddistingue da mesi l’operato della gendarmerie nei confronti dei gilets jaunes.

I bilanci

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti di due fattispecie opposte: da una parte una protesta non violenta, dall’altra una decisamente più animata. Appunto inappellabile, ed infatti anche il trattamento subito è stato agli antipodi. La nuova eroina dei progressisti nostrani è stata arrestata in virtù della sua adesione ad una manifestazione non autorizzata (pratica non consentita nemmeno da noi) e rilasciata dopo meno di 24h, mentre oltralpe il bilancio è di 12 decessi, più di 2000 feriti, quasi 6000 arresti e scene di abusi aberranti (disabili ribaltati dalle sedie a rotelle, occhi saltati, scolaresche messe al muro in ginocchio). Alla faccia del sanguinario Maduro.

Numeri che dovrebbero far impallidire qualsiasi sedicente liberale. Numeri che consentono di evidenziare il fanatismo alla base dei discepoli europeisti, così come il loro sdegno a geografia variabile. Sarà che l’autoritarismo al di qua di Schengen possieda, in ogni caso, una sorta di retrogusto alla lavanda?

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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