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Quasi tre milioni di europei senza riscaldamento nell’era del green deal

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Quasi tre milioni di lavoratori europei senza riscaldamento. È questa la situazione secondo la Confederazione europea dei sindacati che, in uno studio pubblicato a fine settembre, denuncia la drammatica condizione di almeno 2.713.578 di persone. Un fenomeno che, guarda caso, interessa quasi esclusivamente il Sud Europa.

di Antonio Di Siena

In testa c’è Cipro, con la impressionante percentuale del 45,6%, e poi Bulgaria, Lituania, Portogallo, Grecia, Spagna e Italia. Cittadini europei già piegati da pandemia, recessione e compressioni salariali che adesso, a causa dei rialzi stellari dei costi energetici, si vedono costretti a scegliere se pagare le bollette e riscaldare le proprie abitazioni oppure dare da mangiare ai propri figli.

Nonostante molti di essi lavorino a tempo pieno. E la stima di questo disastro sarebbe pure al ribasso, giacchè i dati non includono i lavoratori che percepiscono salari del 50% inferiori a quello medio nazionale. Ragion per cui i lavoratori al freddo potrebbero essere qualche milione in più.

Eppure, nonostante situazioni come questa indichino inequivocabilmente la regressione costante degli standard di vita dentro l’Ue, a Bruxelles si continua a parlare di transizione energetica e riduzione delle emissioni. Senza minimamente discutere di misure finalizzate a proteggere i cittadini dalla speculazione attuata dagli operatori di libero mercato.

Ed è questo il punto politico. Se dentro la moderna e opulenta Unione europea si verificano situazioni come questa non è certo colpa degli eventi naturali. Milioni di lavoratori all’addiaccio, infatti, sono la diretta conseguenza di precise scelte politiche.

Perché se è vero che l’Europa è un continente privo di risorse ed energeticamente non autosufficiente, è altrettanto vero che le sue istituzioni avrebbero tutti gli strumenti per disciplinare il mercato energetico. Ad esempio facendo un passo indietro lungo la strada delle privatizzazioni selvagge e consentendo così il ritorno del controllo statale di asset strategici come l’energia.

Quel sistema di economia mista in vigore fino a tre decenni fa che riusciva efficacemente a frenare la folle corsa dei prezzi dell’energia. Calmierando i costi di un bene che, fino a prova contraria, è ancora di primissima necessità.

Almeno finché qualche esperto di “green economy” non verrà a spiegarci che ci siamo riscaldati al di sopra delle nostre possibilità e dobbiamo tornare a soffiarci nelle mani per non inquinare il pianeta.
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